Benvenuti al Mondiale più discusso di sempre. Troppe ombre sul Qatar. E le gaffe populiste della Rai
Welcome to Qatar 2022. Col potere dei petroldollari e dei super incassi dovuti alla rapida crescita turistica del paese, l’impossibile è diventato possibile. Giocare un mondiale di calcio in inverno ed interrompere i campionati di tutto il mondo, stoppando soprattutto quelli europei. Tutto ciò era impensabile prima del 2010. Allorquando, grazie ai sospetti di corruzione di Blatter e della cricca di Platini (li si chiami sospetti ma definirli certezze non è eresia, ndr) fu assegnata la coppa del mondo a un paese, di cui un terzo della popolazione mondiale non ne conosceva neppure l’esistenza. E che invece si è fatto grande strada fra le superpotenze economiche e non solo. Tutto strambamente vero.
Eccoci infine alla competizione mondiale piò chiacchierata della storia. Già lo era da anni. E ora che si è arrivati alla faraonica cerimonia di apertura, di una spettacolarità e magnificenza da mille e una notte, roba mai vista nelle edizioni precedenti, e alla prima partita, l’argomento si tinge di un’imbarazzante attualità. L’azzardato discorso del presidente Fifa, Infantino, scivolato in una sospetta e grossolana retorica di un paragone fra l’accoglienza degli stranieri in Svizzera e quella in Qatar, è risuonato del tutto inopportuno. Senza alcuna base solida. Come un inchino allo strapotere del piccolo emirato. Si parlava di dubbi ed incoerenze, ed eccoli in serie.
L’assegnazione al Qatar, fu corruzione?- Dubbi pesanti come macigni. Non a caso tempo dopo la nomina del Qatar come paese ospitante, furono silurati e Platini e Blatter. Il figlio dell’ex fuoriclasse francese aveva ricevuto un ruolo dirigenziale di primo piano nel comitato organizzatore. Purtroppo è risaputo che i membri della Fifa, così come quelli del Cio, sono molto sensibili al fascino dei dollari. Molti di essi corruttibili. Già in passato ne erano incriminati alcuni. In Usa ci furono anni addietro anche diversi arresti. Si è vociferato di un patto segreto fra la Francia e l’emiro, datato sempre 2010: in casa dell’allora premier Nicolas Sarkozy, il Qatar avrebbe ottenuto l’appoggio della Francia per l’assegnazione della Coppa, in cambio dell’acquisto da parte della famiglia al Thani del Paris Saint Germain e della fornitura, da parte francese, di caccia Mirage. E dire che a candidarsi per la World Cup 2022 c’era l’Inghilterra, che aveva avuto in David Beckham il suo testimonial. Nel Regno Unito si sarebbe giocato regolarmente a giugno, a bocce ferme. Peraltro gli inglesi vantano i più belli ed stadi del mondo. Ma non ci fu nulla da fare. Qatar si sponsorizzò in pompa magna e Qatar vinse la contesa.
L’assurdità di giocare in inverno- Sospendere ogni campionato per giocare la Coppa del Mondo non ha precedenti nella storia. I mondiali si sono sempre disputati intorno a giugno, o comunque al fischio finale dell’ultima partita almeno in Europa. Ma giocare in estate in Qatar sarebbe stato impossibile per ragioni climatiche. A meno che non si fosse voluto torturare i nostri eroi, costringendoli in campo con 50 gradi di temperatura e un’umidità che supera l’80%. Condizioni impossibili per qualsiasi attività fisica, anche amatoriale. Ma il profumo del denaro fa inaspettati miracoli. Voltafaccia del palazzo e via il 20 novembre con lo stop ad ogni torneo. Ciò potrebbe avere una serie di implicazioni tutt’altro che positive. Innanzitutto il serratissimo calendario di settembre ed ottobre che ha sfiancato i club europei, soprattutto quelli impegnati nelle coppe internazionali. Poi i convocati dalle rappresentative in quattro-cinque giorni sono dovuti volar via ed anche la preparazione pre-mondiale è stata troppo breve, con mini-ritiri. Ne potrebbe risentire, lo stesso spettacolo del Mondiale, con protagonisti un po’ troppo stressati. Una grande incognita sarà, al tempo stesso, la ripresa dei campionati ai primi di gennaio, dopo un inedito ritiro invernale. Ci si chiede in quali condizioni rientreranno alle basi i giocatori che saranno approdati alle ultime battute della Coppa.
I sospetti sulla politica della famiglia al Thani- Fonti dell’intelligence Usa, negli anni passati, hanno puntato il dito contro i regnanti qatarioti, colpevoli di aver finanziato Al Qaeda e poi la nascita dello stato islamico, l’Isis. La parentela dei reali è molto estesa, così come quella della monarchia saudita, e una pecora nera potrebbe averci proliferato. Ma a quanto detto anche da giornali statunitensi, sotto accusa ci sarebbe la condotta generale di chi gestisce il potere, e non l’isolata testa calda di un principe fuori controllo. Secondo due giornalisti francesi Christian Chesnot e Georges Malbrunot, autori del libro Qatar Papers, gli al Thani avrebbero sborsato fior di milioni per la nascita di decine di moschee sul suolo transalpino. Nulla di illecito. Ma ci si è chiesti nel volume se questi centri religiosi operassero o meno nel rispetto della legalità o sei in qualcuno non si predicassero i principi dell’estremismo islamico.
I diritti negati dei lavoratori stranieri- Sulla costruzione degli otto stadi grava la perdita di centinaia di vite umane, forse 500 o più. Le vittime, tutti lavoratori stranieri, provenienti dal Pakistan, Bangladesh, Nepal, India, Filippine ed altri paesi asiatici. Ogni principio di tutela sindacale è stato schiacciato da inumane regole di stampo feudale. Agli immigrati è stato sequestrato il passaporto una volta giunti in Qatar, sono stati imposti turni massacranti, costretti ad operare in condizioni di scarsa sicurezza. Inoltre, i lavoratori sono stati alloggiati in inospitali bidonville alla periferia di Doha, prive di rete fognaria e dei minimi igienici. A pochi mesi dall’inizio dei lavori per le infrastrutture già si contavano 60 decessi di lavoratori nepalesi. Non a caso in una visita dell’emiro in Inghilterra, i reali britannici tentarono di sensibilizzare al Thani e l’opinione pubblica su quanto stesse accadendo nel golfo.. Ricevettero sommarie rassicurazioni, ma nel pratico non è mai cambiato nulla. I decessi si sono moltiplicati e le scarne testimonianze raccolte sono da brividi. La censura dello stato ha provveduto ad insabbiare. Il malcontento si è manifestato pure durante la cerimonia inaugurale, quando il discorso del sovrano è stato oggetto di diversi fischi.
Ancora una volta si gioca in un paese che viola i principi umani- Essì, dopo la Russia di Putin nel 2018 (presidente non certo esempio di democrazia ed ora responsabile di una guerra genocidio, ndr) si è passati al Qatar. Nell’emirato vige la severissima legge islamica, la Sharia. Laggiù è applicata la pena di morte, i diritti umani sono regolarmente calpestati e negli ultimi giorni si è sollevato il caso dell’ambasciatore per i mondiali, Khalid Salman, che ha etichettato l’omosessualità “un danno psichico”. Per la terza volta nella storia del calcio, ad ospitare la più insigne manifestazione è uno stato che si può definire canaglia, non perché sul libro nero della casa bianca, ma in quanto pessimo esempio di non democrazia. La prima volta fu nell’78, in casa dell’Argentina del generale Videla.
La Rai non si smentisce mai- “Non è la rai”, spopolava un popolare show di Boncompagni negli anni novanta. Eppure lo è eccome nelle sue esternazioni di informazione superficiale e grossolana. Nel programma di introduzione alla cerimonia inaugurale, la mitica tivvù di stato ha lanciato un servizio sulla differenza della condizione femminile fra il Qatar e l’Iran. Un paragone inappropriato e infarcito di scadente conoscenza della storia, in quanto la penisola arabica ha radici culturali e storiche del tutto differenti da quelle iraniane. Origini diverse per due visioni diverse, e spesso contrastanti, della religione islamica. In Qatar così come in tutti il golfo sono sunniti, per l’esattezza wahabiti, nell’antica Persia invece sciti. Ma i sapientoni di casa rai non possono conoscere così tanti, eppur banalissimi, concetti. O forse il pubblico al quale si rivolgono non vede al di là del proprio naso…
La speranza di un bellissimo mondiale, ma soprattutto di un mondo migliore, sarà forse racchiusa nelle parole dell’ospite d’eccezione al gran galà di apertura, Morgan Freeman “Quello che ci unisce qui è più grande di quello che ci divide”. E se lo ha detto lui che in Invictus fu protagonista di una delle più emozionanti interpretazioni della storia del cinema, nella parte di Nelson Mandela, magari possiamo crederci.