Canzona ‘e Guapparia: Merola e la sceneggiata, al Trianon ritorna una magia

Il nome Merola sta alla sceneggiata come Dante sta alla lingua italiana. Quando le due cose si mettono insieme viene fuori la magia. Anche se il Merola non è l’immenso Mario, ma il suo erede, Francesco. La sceneggiata, anche se ha una brutta nomea, al punto che spesso viene indicata come sinonimo di “pagliacciata” napoletana, fa parte della storia partenopea. E’ parte integrante della sua cultura, e tutti sanno che la cultura napoletana non ha rivali al mondo. Può piacere o meno, ma nessuno può negare che è cultura popolare.

Canzona ‘e guapparia ripropone lo schema classico del genere. Anche se c’è a’ malamente invece di o’ malamente. Per il resto il tradizionale canovaccio, con la rappresentazione di una Napoli di oltre un secolo fa, con la figura del guappo al centro della storia. Un guappo che ha poco del camorrista moderno, e che anzi è una sorta di paladino dei deboli. Peccato solo che per non perdere la faccia, per onorare il suo ruolo, ammazza un paio di persone. Delle quali una assolutamente innocente.

Una cosa stonata però c’era. La figura del giornalista napoletano che va da guida al suo collega arrivato dagli Usa per raccontare la vita napoletana. Un conto è la storia, palesemente romanzata, del guappo. Altro i commenti, per altro assolutamente decontestualizzati rispetto al racconto, fatti dal giornalista. Nelle sue parole sono evidenziati tutti i luoghi comuni, tutte le menzogne, che ancora oggi, sia pure per argomenti diversi, penalizzano la città. Non si può dire che “vivere a Napoli è come vivere all’inferno”. Napoli è una città meravigliosa, coi problemi di tutte le metropoli. Un conto è il racconto romanzato, altro parole del genere che sembrano rappresentare una realtà che non esiste.

Cosa dire? Complimenti a Francesco Merola, innanzitutto per il coraggio mostrato. Quando hai un cognome così impegnativo il rischio di essere strangolati dai paragoni è enorme. Lui ci ha messo la faccia e la voce. Non è il padre, ma ha fatto bene la sua parte. Un applauso anche a chi ha avuto il coraggio di portare in scena un lavoro che sembra appartenere al passo. Parliamo del regista Bruno Garofalo, e anche, soprattutto, della direttrice del Trainon Marisa Laurito che ha prodotto e messo in scena, a Natale, un lavoro simile. Il Trianon è nelle intenzioni della Laurito, il teatro, il tempio, della canzone napoletana. Portare la sceneggiata sul palco era quasi un atto dovuto.

Il pubblico ha gradito. Anche in maniera che in altre circostanze sarebbe parsa un po’ eccessiva. Ma il pubblico della sceneggiata non è quella del San Carlo. E’ un pubblico genuino, che non trattiene le sue emozioni. E gli applausi convinti sono parsi sinceri.

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