Sanremo 2023, le pagelle

Il Festival della canzone italiana alla 73 esima edizione non si smentisce mai con vizi e virtù passati e recenti. Mai in controtendenza, solito ritornello. Ecco come noi lo abbiamo giudicato nella sua serata finale.

Organizzazione 5,5- Le provano tutte pur di fare audience. E’ giusto ma tutto ha un limite. Di decenza. Ma sappiamo che a Sanremo non esiste un argine. Se fosse stato possibile invitare sul palco Malcom x, Jfk e Gandhi loro lo avrebbero fatto pur di sgranocchiare un telespettatore in più. La gestione della kermesse è perfetta. La retorica fra Mattarella, aeronautica militare e il coinvolgimento di Zelensky invece sono populismo spicciolo e banale. Ma sappiamo agli italiani cosa piace.

Amadeus 6- Protagonista assoluto, al record storico di conduzioni consecutive. Garbato e professionalissimo, anche simpatico. Però c’è un tanto in lui di politically correct e di conformismo, quasi perbenismo che può stizzire chi la vede da fuori dal coro. Riverente, accogliente. A voler far polemica un perfetto maggiordomo. E’ il suo ruolo e non potrebbe indossare i panni del polemista, però se fosse un po’ più asettico in certe circostanze e meno con quel  dovuto e prestampato sorriso sarebbe più autentico. Diceva un vecchio saggio la pagnotta è pagnotta. E vai pure con il 2024!

Gianni Morandi 8- Il vero supereroe è lui. Il vecchio Gianni sulla soglia delle 80 primavere. Commovente la sua entrata in scena con il revival dei successi di Lucio Dalla, un delicatissimo omaggio, interpretato alla perfezione. Ed anche il suo modo di stare sul palco, di tenere la scena fa faville. Gentiluomo di altri tempi, artista sempiterno ai massimi livelli. E’ rimasto quello de Il Mio amico. La sensibilità gliela si afferra dai movimenti delle ciglia.

La banda musicale dall’aeronautica italiana 4- Voto basso non per quando fatto sul palco ma per la retorica moralista e le bugie teleguidate nelle case dei polli nostrani. Loro sempre in prima linea contro calamità e disastri, dal covid al terremoto in Turchia, prima che la terra tremasse quasi fossero già lì. Ah, se ci fosse stato quel diavolo di Beppe Grillo anni ’80, altra maniera, gli avrebbe chiesto lumi sul depistaggio di Ustica. Loro sono quelli che cancellarono i tracciati radar ed insabbiarono le prove. Ottantuno esseri umani aspettan0 ancora giustizia.

L’assalto Instagram 2- Amadeus sempre ad aggiornare i dati sui follower. Che pizza. Una manìa pericolosa. Viviamo tormentati dalla social dipendenza ed eccola che ci rompe le palle pure al festival. Una persecutio inopportuna. Ma esiste ancora la possibilità di una serata no social?

Depeche mode 7- Un tuffo negli anni ottanta. Quelli che ricordavamo. Sempre una bella emozione rivederli in azione.

Chiara Ferragni 5,5- Sarà lei la grande imprenditrice, strafiga ed influencer di arcitendenza, ma sul palco è un tantino legnosa e di uno snob che non si può. Le manca la spontanietà. Pure la dizione lascia a desiderare.

Gino Paoli 7,5- Gianni Mura sarebbe impazzito e si sarebbe commosso al suo cospetto. Pure Sandro Ciotti avrebbe fatto furori per il mitico Gino. Compassato dal tempo, un malanno per il quale non c’è rimedio, le sue interpretazioni non perdono smalto nonostante gli anni incalzanti. Amarcord allo stato puro, condito da qualche battuta piccante.

Fiorello 7- Immarcescibile. Stavolta il palcoscenico non gli tocca, gioca defilato eppure è sempre l’uomo delle grandi finali. E non solo. Pure in amichevole ha una classe inimitabile. La sua battuta sui Cugini di Campagna paragonati al bar di Guerre Stellari rimarrà nella storia.

Ornella Vanoni 7,5- Vale quanto detto per Gino Paoli.

Anna Oxa 6,5– Si piazza molto male ma la sua canzone non è stata compresa. Selvaggia Lucarelli era stata impietosa. La voce è bellissima, la solita fuoriclasse vocale, forse ha pagato le parole non del tutto comprensibili. Meritava di più.

Gianluca Grignani 6,5- Struggente ed autobiografico, il racconto del rapporto con il padre. Molto a disagio una volta terminata l’esibizione. Il cantautore milanese ha vissuto anni difficili. Merita sempre un incoraggiamento per la grandezze delle sue opere passate.

La lettera di Zelensky 4,5- Inopportuna e tutt’altro che un messaggio di pace. L’inizio è anche struggente, ma poi è l’esortazione alla vittoria del suo popolo. Attraverso la guerra. Solo ed esclusivamente per mezzo delle armi occidentali.  Una riedizione del vincere e vinceremo. Non accenna alla cessazione delle ostilità, ma auspica il successo in un conflitto di un combattente sull’altro, sebbene sia stato l’aggredito e non l’aggressore. Del tutto fuori luogo. Se avesse parlato di un percorso di pacificazione e non di supremazia sul campo si sarebbe guadagnata un voto alto.

Marco Mengoni 8- E’ lui the voice, il meritatissimo vincitore. Era dato super favorito e la sua performance è stata in stile We are the champions. E a pieno titolo il campionissimo è stato lui. Che ha stracciato gli altri quattro finalisti nelle preferenze dei telespettatori. Gran bel pezzo, magica la sua parola. Fluido e coinvolgente. Un altro trofeo nella sua già notevole carriera.

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