Per Forza Italia oggi è iniziato il dopo Berlusconi

Silvio, Silvio, Silvio. Non c’è più, ed è dappertutto. I delegati al Consiglio nazionale riuniti nella Capitale all’Hotel Parco dei Principi moltiplicano per 5 il minuto d’applauso proposto da Antonio Tajani, ritto in piedi sotto la gigantografia del fondatore. Lui è tranchant: “È stato la nostra storia, ma anche il presente e il futuro del partito”. La formula ’Berlusconi presidente’ campeggerà d’ora in poi nel frontespizio dello Statuto: mossa necessaria per scolpire poi il nome del fondatore per l’eternità nel simbolo azzurro. L’investitura, del resto, arriva dagli eredi dell’indimenticabile: “Carissimi, grazie per l’appoggio e la vicinanza che avete sempre dato al nostro caro papà. E grazie per tutto ciò che farete oggi per continuare a far vivere gli ideali di libertà, di progresso e di democrazia che hanno sempre contraddistinto il suo pensiero e le azioni”, c’è scritto nel messaggio che legge Tajani. E in una lettera privata che, discretamente, non rende pubblica, ma fa sapere che è “molto affettuosa e di incoraggiamento”. Endorsement altrettanto importante offre il presidente del Ppe, Manfred Weber, ospite d’onore: “È la scelta migliore”.

Il ministro degli Esteri viene eletto all’unanimità per alzata di mano al termine di un’assemblea ridotta a un solo discorso: il suo. Non presidente però: quello è il titolo che spetta per sempre a Berlusconi. Segretario nazionale, più modestamente, e pro-tempore. Fino al congresso che lui dice di voler convocare “prima delle Europee”. In quelle assise la sua potrebbe non essere l’unica candidatura. Tajani stesso giura di auspicare “confronto e dibattito sui contenuti: non mi piacciono né pennacchi né pettegolezzi”. La minoranza si adegua. “Si apre una fase nuova: continuità nel rinnovamento”, sottolinea la presidente dei senatori, Licia Ronzulli. In realtà il partito azzurro, gravato anche dall’incognita dei 90 milioni di debiti che il testamento non ha sciolto, sembra troppo fragile per reggere a uno scontro interno che inevitabilmente deflagrerebbe con candidature contrapposte. L’assenza di Marta Fascina rimasta ad Arcore – in platea c’erano i fedelissimi Stefano Benigni, Alessandro Sorte e Tullio Ferrante – indica che la tregua regge. Ma è una tregua imposta dalla necessità di sopravvivere, e l’unico in grado di garantirne la tenuta sembra proprio Tajani. Per ora la linea del nuovo segretario non va oltre la gestione dell’eredità berlusconiana. Nessun guizzo, nessuna svolta. Ma chiunque alla prese con un’impresa quasi impossibile – far sopravvivere il partito di Silvio a Silvio – si sarebbe proposto in prima battuta come il gran sacerdote del berlusconismo. “Voglio trasformare i sogni del Cavaliere in realtà con il vostro aiuto”.

Con il tempo, però, dovranno esserci scarti significativi che Tajani tra le righe indica: “Dobbiamo essere la ’dimora’ di tutti i moderati, anche quelli del Pd”. Nelle cinque sfide che propone non c’è molto di nuovo: risaltano in particolare la giustizia – con la separazione delle carriere – e il fisco con la flat tax. Ovvero gli eterni cavalli di battaglia del fondatore. Ma la proposta politica va oltre gli specifici punti. Dopo il fallimento del terzo Polo, Tajani annuncia che quel polo esiste già, si chiama Forza Italia. È un soggetto che, avverte, secondo un sondaggio Tecnè vanta l’11% e, soprattutto, è un Polo che non teme più fuoriuscite alla volta di Renzi e Calenda. Al contrario, alla sua porta bussano esponenti centristi di peso. “Ci saranno new entry: chi? Lo diremo al momento opportuno”. La Forza Italia a cui aveva dato vita Berlusconi non è quella che per vent’anni è stato il fulcro della politica italiana e non è nemmeno la FI, area moderata e minoritaria del centrodestra, di questi ultimi anni. È, appunto, il terzo Polo, e se la difficilissima scommessa fosse vinta, del berlusconismo resterebbe ben poco

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