Vivaldi e Wagner a Montevergine

di Riccardo Brescia

Non avevo voglia di andare al mare. Immaginavo folla eccessiva; caldo afoso in città; ultima domenica di agosto pieno. No, avrei trovato il mondo riversato su qualsiasi spiaggia io avessi scelto. Per trovare un po’ di fresco e aria buona ho scelto di dirigermi verso il Santuario di Montevergine e di raggiungerlo con la Funicolare. Mi hanno fatto compagnia – non senza perplessità – mia sorella e mio nipote, ignari di quello che avrebbero visto a meno di un’ora di strada da casa. Il paese che ospita la stazione della Funicolare – Mercogliano – è di quelle realtà irpine che stupiscono chi, abituato al disordine anarchico della nostra città, ne attraversa per la prima volta il centro. Il ritmo è quello di un paese di montagna, lento e cadenzato da un silenzio cui non siamo abituati. Il viale che conduce alla Funicolare è coperto da maestosi platani che non lasciano spazio e non danno alcuna possibilità al sole di rendere rovente – nemmeno ad agosto – i basoli ben sistemati e i marciapiedi in pietra viva del lungo viale. Una pavimentazione perfetta, senza sconnessioni. Camminarci sopra è una goduria. Il parcheggio della Funicolare è proprio nella piazza antistante la stazione. Già mi meraviglio, ritenendo possibile un parcheggio distante: sono tante le cose prive di logica alle quali mi sono rassegnato. Tutto sarebbe possibile. Invece: auto parcheggiata proprio dinanzi all’ingresso della stazioncina; l’addetto alla biglietteria, ad ogni utente chieda il biglietto, domanda se avesse parcheggiato nella piazzetta antistante (in tal caso in aggiunta al biglietto della Funicolare viene consegnato un altro ticket da inserire prima del ticket di parcheggio e in tal caso la tariffa del parcheggio è di solo un euro al giorno: si, 1 euro al giorno!). Di lì a poco sopraggiunge il vagoncino e saliamo. Siamo in cinque; guardando in avanti ci accorgiamo che dopo un centinaio di metri il percorso s’ impenna – in fondo un cartello informa che raggiungeremo la vetta della montagna in soli 7 minuti. Mio nipote si emoziona al solo pensare a quali sorprese l’itinerario riserverà. Dopo un paio di minuti il percorso comincia a scalare quasi in verticale il pendio e i sedili del vagoncino tornano a raddrizzarsi (in stazione erano leggermente inclinati). A destra una fabbrica di legna da ardere; poco più avanti lecci, alberi di fico, cerri, alcuni dei pochi alberi che siamo in grado di riconoscere; proseguendo la salita il vagoncino si incunea tra due ali di pietre antiche, trattenute dal franare grazie a imponenti reti di contenimento. Alla destra del vagone in salita, la campagna percorre dolcemente il pendio verso valle e lo sguardo si appoggia senza affanno al susseguirsi di colline e boschi. A sinistra, lo strapiombo si impossessa di pensieri e parole. Sospende il respiro. Case lontanissime, strade e curve distanti rubano la prospettiva a massi ed alberi che fuggono dinanzi ai nostri sguardi.

Ascolterei volentieri Vivaldi, durante la salita.

Nessuno parla, perché nessuno si aspettava questo squarcio di veduta. Qualche scatto è inevitabile, ma pochi. Ipnotizzati e incantati siamo già alla stazione di arrivo. Non conosco molto della storia dell’icona della Madonna di Montevergine e in fondo – adesso – non lo trovo nemmeno necessario. Su, dalla stazione fino al Santuario, incontriamo tante persone, i parcheggi pieni, cartelli di sentieri da trekking, bancarelle che vendono pane, castagne, ricordi, torrone e formaggi fanno a gara per accaparrarsi acquirenti, ma in tanti si avvicinano spontaneamente per acquistare. C’è un bel sole, un vento regolare che rende piacevole passeggiare fino al soleggiato piazzale, un bel clima di persone in armonia con il contesto. Entriamo. Sembra la scena di un film. Fotografia da oscar. Porticato in ombra, piazzale interno e scala votiva in pieno sole; fontana in bronzo luccicante, poco distante ma ben visibile fin dall’ingresso. Sotto i portici qualche bancarella di prodotti tipici (olio, torrone, formaggi, salumi, pane). Sembra tutto predisposto per un ciack. Saliamo la bellissima scala in pietra (alcuni fedeli la percorrono in ginocchio recitando – ad ogni gradino – un’Ave Maria). E’ bella, antica. La percorriamo non senza fatica sia per la pendenza che per l’imponenza della sua bellezza, incastonata e protagonista indiscussa all’interno del cortile: una primadonna. Raggiungiamo la cappella dell’icona. L’immagine della Vergine è grande, alta circa quattro metri; la cappella è piccola, stretta. La Vergine riempie l’intera parete frontale. Impossibile non vedere ogni particolare del dipinto su legno: il suo sguardo, gli occhi cerchiati di nero, il mantello e il Bambino che ne trattiene un lembo, le loro aureole. Candele ai piedi dell’Immagine e candele sospese ai lati su preziosi candelabri colorano il dipinto di luce calda e di riflessi. C’è silenzio. Dopo qualche minuto lasciamo il posto ad altri; attraversiamo rapidamente la nuova chiesa (è in corso la S. Messa) e ci imbattiamo in una riproduzione a grandezza naturale della Sacra Sindone appesa ad una parete (chiediamo ad un Frate Benedettino di passaggio – in saio bianco panna – il motivo, e apprendiamo che durante la Seconda Guerra Mondiale la Sacra Sindone fu nascosta a Montevergine per evitare venisse trafugata o danneggiata. Già un programma televisivo ci aveva svelato il segreto ma chiederlo ad un “residente” è tutt’altra cosa). Torniamo al caldo del sole fuori; ci attendono un bar ben accorsato (e con prezzi decisamente alla portata), un caffè bevibile, svariati snack e tanti giovani a servizio. Quello che vediamo ci piace.

Ci incamminiamo verso la Stazione della Funicolare (viste le tante persone, abbiamo già capito che stavolta il vagoncino sarà strapieno e magari dovremo aspettare due corse per trovar posto). Solo posti in piedi. Vociare diffuso, come in un pullman di amici di vecchia data. Ci si racconta delle ore appena trascorse e di quello che ha portato ciascun fedele ai piedi delle Madonna.

Stavolta tutti sappiamo dello strapiombo che immediatamente vedremo apparire in discesa, sulla destra del vagoncino e l’adrenalina cresce. Le chiacchiere a voce alta sembrano pronunciare formule scaramantiche per esorcizzare il capogiro della vista lontana per lunghissimi sette minuti.

Ascolterei volentieri Wagner durante la discesa.

Giunti a destinazione ci si saluta, aiutiamo una nonna con passeggino (adocchiamo anche la figlia con il secondo passeggino per la gemellina); ascoltiamo la parlata bovara di turisti americani (magari saranno emigrati in vacanza nei luoghi dell’infanzia) e ci sentiamo soddisfatti.

Lasciamo leggeri e contenti la piazzetta del parcheggio, pagando solo un euro: è proprio vero.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

RSS
Follow by Email
Pinterest
LinkedIn
Share
Instagram
Telegram
WhatsApp
FbMessenger
Tiktok