L’ultimo Assolo di Enzo Moscato

A chi dice “tanto è tutta finzione, è solo teatro”, avrei regalato pochi minuti nella Sala Assoli lunedì mattina.
Un palcoscenico. Il Suo palcoscenico, uno dei tanti. Ma qui è casa Sua, nei Suoi Quartieri Spagnoli.
Su quelle tavole consumate, la bara circondata da mazzi di fiori portati da chi lo ha amato e dietro, su uno schermo, un continuo loop di immagini e scatti in bianco e nero. Momenti di scena, foto di anni addietro, momenti di vita. Il continuo ritorno alla vita anche se Lui non può più farne parte, se non nel ricordo, nei suoi allievi, nel pubblico che lo ha sempre seguito.
Il teatro sa come scuotere, come denunciare. Sa come raccontare le gioie della vita; sa come alleviare i dolori della morte.
E allora…luci soffuse, un riflettore puntato sull’involucro di legno su cui è stata stesa una coperta di quelle che ritroviamo nelle nostre case con sopra una rosa rossa e una sigaretta. Una maledetta sigaretta. Lo schermo manda tante immagini di momenti della Sua vita e del Suo repertorio; l’audio distribuisce in quell’atmosfera fatata la Sua voce mentre recita, canta, parla.
Sulle gradinate buie si avvicendano attori, registi, critici, uomini e donne di teatro, semplici amanti del teatro.
Il pubblico.
Il silenzio e’ rotto solo dalle note e dalla voce mandata dagli altoparlanti a volume giusto, un volume che non disturba il pensiero di chi siede guardando quella Sua ultima scena.
Tutto intorno è pace.
Chi si incontra in questa triste circostanza, parla sottovoce. Nulla disturba quel velo di malinconia misto a dignità che la scena incute: l’ultima scena di un copione durante il quale Enzo Moscato ancora una volta recita da protagonista la vita, raccontandola con il Suo stile di cui soltanto chi lo ha conosciuto da vicino o chi ne ha recitato i copioni ha avuto modo di conoscere a fondo. Un’atmosfera di pace, perché il teatro questo sa di essere: luogo di pace, come pochi altri l’uomo abbia mai saputo creare.
Il Suo teatro ne ha rappresentato un’elevata espressione, non facile da comprendere, perché non tutti siamo in grado di comprendere immediatamente il linguaggio di chi viene definito genio da chi se ne intende sul serio.
Per apprezzarlo e’ necessario leggere i Suoi testi, vedere i Suoi spettacoli, osservare i Suoi allievi riportare in vita i personaggi e le storie che Lui ha inteso raccontare, inventando o semplicemente descrivendo.
E’ un continuo andirivieni in quella sala a malapena illuminata, ma non c’è caos.
Squilla – non voluto – qualche cellulare. Inevitabile.
Chi siede al cospetto di quella ribalta ha modo di pensare e rasserenare l’anima in un momento di smarrimento e sconforto, quello che accade quando all’improvviso sei avvolto da vento e pioggia senza sapere da dove arriva la tempesta.
Viene a mancare un artista, un pilastro del teatro e della letteratura nostrana e nazionale.
Una direzione certa.
Durante le esequie Toni Servillo e Mario Martone salutano l’amico e offrono all’assemblea alcune pillole di storia, riflessioni personali e un vagone enorme di emozione che lascia comprendere – in parte – la grandezza dell’uomo, dell’uomo di teatro, del poeta.
I Suoi allievi, i suoi attori – fuori la Chiesa degli Artisti – piangono una guida ma anche un padre.
Molti di loro, la sera stessa dell’estremo saluto al loro Maestro, andranno in scena, metteranno da parte di dolore per il tempo della messinscena e saranno altro, altri, altre, fino alla tela che cala.
Spente le luci di scena torneranno al vuoto enorme che Enzo ha lasciatola, poeta romantico, spartiacque con Eduardo e Viviani (sono parole di Martone), eterno fanciullo (come lo definisce Claudia Affinito, suo braccio destro e amministratore di compagnia ma anche colui che lo ha accompagnato, curato, assistito fino alla fine).
Nella navata della splendida Chiesa si sono celebrati i riti di un commiato laico e religioso dinanzi a un’assemblea meravigliosamente mescolata di artisti, autorità, musicisti, giornalisti, volti noti e meno noti ma tutti in silenziosa attesa del feretro.
Un sentito applauso accompagna la bara mentre scende le scale: un applauso continuo, dignitoso, misurato, come le parole del sacerdote poco prima durante l’omelia; come il saluto di Giuseppe Affinito che Moscato stesso portò in scena fin dall’età di sei mesi; come le lacrime contenute degli attori a lui più vicini, giovani e meno giovani, talentosi e preparati; come  le parole degli amici a lui più cari che adesso sono i più onesti e grandi rappresentanti del teatro a Napoli, e quindi nel mondo.
Come se tutto avesse seguito un copione elegante, provato e riprovato per far sì che nulla avesse guastato la riuscita del momento più delicato dell’intera e faticosa giornata.
Ma tanto, per tanti  che vedono solo le apparenze … “è tutta finzione, è solo teatro”.
Solo Teatro.
Cala la tela.

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