Morirai anche tu, senza essere mai stato un eroe

Tram.
Port’Alba, il luogo fatato delle bancarelle di libri, della leggenda di Maria la Rossa (la strega di Port’Alba), degli alberi di sciucelle, della musica, della cultura.
Il Tram è una gemma preziosa, intima, discreta e in quanto tale è rinchiuso in uno scrigno sacro, sicuro, nascosto alla vista di tutti.
E’ un luogo accogliente, palcoscenico di talenti, risultato di intuizioni illuminate, posto all’interno di un portone storico, proprio lì, sotto l’arco della più famosa porta di accesso al centro storico della nostra città; in una strada da sempre luogo di cultura e scambio – da generazioni – dai libri, alla musica, ai murales, al teatro. Non c’è cittadino o turista in cerca del proprio cuore che non varca quella porta e non percorre quella strada gettando – magari – un occhio distratto ad un cartellone che ne annuncia gli spettacoli di stagioni teatrali sempre stimolanti e ricche di proposte degne di essere seguite e partecipate.
Stasera (venerdì 15 marzo 2024) è stata la volta di Andromac(hi)a, rilettura e riproposizione del mito di Andromaca ispirata a Omero, Euripide, Heiner Muller e Jean Cocteau, con una intensa e coerente Valeria Impagliazzo che ne ha curato la regia insieme ad Armando Rotondi.
Lo spettacolo è la risultante di uno stimolante gioco di metateatro dove l’unica interprete in scena – nei tre momenti in cui si dipana la drammaturgia – si alterna nel ruolo di protagonista e regista di una “se stessa” in scena, offrendo un valido supporto al pubblico per la comprensione di un testo forte, intenso, diretto e pertinente, volto a proporre una lunga riflessione sull figura di una donna – Andromaca – storicamente subordinata ai protagonisti dell’Iliade ma – ancora una volta in quanto donna – elemento portante dell’intera struttura di una storia che ha scavalcato i millenni.
E nei confronti della quale, ancora oggi, nutriamo interesse e passione.
Si, passione.
Non c’è termine migliore che sintetizzi l’apnea che coglie lo spettatore fin dall’ingresso in sala mentre, già nel prendere posto, la voce e la figura di Valeria – statuaria e imponente – recita, maneggiando una rumorosa catena, le prime battute del suo articolato monologo.
Nelle luci fioche della mezzasala anche gli ultimi spettatori, nel prendere posto, hanno modo di assaporare quale sarà il tono e il ritmo dello spettacolo, ritmo e tono al quale è opportuno e utile abbandonarsi, per lasciarsi condurre tra le pieghe di una narrazione a tratti introspettiva a tratti descrittiva, in cui Valeria-Andromaca si rivolge ora al marito Ettore, ora al loro figlio Astianatte, ora al figlio di Achille, Neottolemo (di cui fu bottino di guerra e concubina), in un sottile lavoro di scena in cui rappresenta sia la parte dell’attrice sia della sua regista, e che intende determinare e definire le sfumature del personaggio.
Il palcoscenico del Tram non è un palcoscenico qualunque.
La struttura degli ambienti, allestiti in sale con soffitti a volta che si susseguono (palcoscenico compreso), consente all’attore esperto di mandare a suo piacimento la voce fino alle ultime file, disposte su strutture in legno, degradanti. Valeria, nell’intensità e controllo di uno sguardo ipnotico profondo e diretto, lascia galleggiare la sua voce ferma, che arriva senza eccessi dovunque lei voglia e – nel momento in cui ritenga lo richieda la scena – riesce ad avvolgere e circondare lo spettatore, che vive l’illusione momentanea di una voce che giunge dalle proprie spalle.
Una sensazione che dà stupore a chi è in sala.
La scena vede elemento costante una catena che Valeria maneggia a mo’ di un rosario laico, i cui grani segnano il ritmo della storia di una donna che è donna, madre, amante, concubina, schiava, moglie, figlia ma che appare vittima di tanti, troppi uomini i quali – ciascuno a proprio modo – l’ha posseduta e utilizzata a beneficio del proprio disegno.
Un manifesto chiaro, esplicito, dedicato a tutte le donna vittime di violenze contemporanee, persino da chi dichiara di amarle.
Lo spettacolo è una produzione di Opificio delle Teste Dure.
Il nome appare adeguato alla caparbietà offerta da una drammaturgia nella quale voce, silenzio, movimento, luci ed ombre costituiscono elementi ugualmente forti e funzionalmente asserviti alla riuscita dello spettacolo. Spesso Valeria recita fuori luce offrendo un’immagine offuscata resa presente dalla sua voce; tagli di luce morbidi, all’improvviso diventano decisi e di grande effetto, attribuendo alla silohuette della protagonista al centro della scena, un’atmosfera che ha – contemporaneamente – qualcosa dell’etereo e del sontuoso.
Al termine, Valeria – svuotata – dopo aver offerto la sua anima senza risparmio, raccoglie un meritato e lungo applauso e si mostra nella sua delicatezza di donna, compresa in una condizione finalmente umana, che ne rivela la tensione e l’elevata partecipazione emotiva in quanto co-regista, in quanto attrice, in quanto donna.
E’ commossa.
E andiamo via, commossi anche noi, insieme a lei: insieme ad Andromac(hi)a.
Lo spettacolo prosegue fino a domenica.
Al Tram.

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