A.D.E. – Se qui ci fosse il coro, il coro direbbe “Smettetela”. Ma qui il coro non c’è

Ci sono teatri che per il solo loro nome e fama amplificano l’eco degli spettacoli che vi si rappresentano; teatri che con il loro nome mettono una pezza a drammaturgie lacunose e leggere; teatri che sostengono e sospingono le recite e il valore della rappresentazione offerte dagli attori. Poi, ci sono teatri che nella loro forma e condotta, offrono in maniera essenziale la loro presenza; teatri dove i suoi elementi costitutivi sono visibili; dove palcoscenico e platea potrebbero essere tutt’uno; dove dimensioni, arredi, scenografie nulla hanno a che fare con gli spettacoli.
Teatri dove l’attore è al centro; dove i dialoghi sono i veri protagonisti e dove tocca agli uomini e donne che calcano le tavole tirar fuori le motivazioni che hanno spinto il pubblico a scegliere proprio quel teatro e proprio quello spettacolo.
Ci sono teatri dove gli spettacoli scelti sono spettacoli di uomini, di idee, di mente e di cuore.
La Sala Assoli è uno di questi.
Nel primo we di aprile, dal 5 al 7 va in scena A.D.E. – A.lcesti D.i E.uripide, riscrittura di Fabio Pisano, irriverente ed efficace, del capolavoro del teatro greco di tremila anni fa. Definito poema satiresco, è l’opera che conclude la tetralogia tragica di Euripide ( così – almeno – dicono i testi e i veri conoscitori del teatro greco antico).
A.D.E. è un interessante stimolo per entrare in temi e storie eterne, ritrovare e ritrovarsi, scavalcare i millenni; e farlo in una rivisitazione che ne frammenta la trama e la ricostruisce, offrendo i giusti supporti allo spettatore per seguirne l’evolversi della vicenda e lasciare il tempo di comprendere i fatti, consolidare l’impatto emotivo delle relazioni tra i personaggi, riflettere sul senso che dei fatti stessi ne rappresenta il movente.
Il linguaggio adoperato è diverso. E’ un originale intreccio di classico e contemporaneo; un susseguirsi di monologhi di cui alcuni riportano testo e forma originali mentre altri sono espressi in un linguaggio spezzato, moderno, di quelli che lasciano all’intuito la scontata conclusione della frase. Il risultato è un riuscito ritmare di un invisibile metronomo, un darsi il cambio di voci, senza sovrapposizioni o prevaricazioni. Gli attori si attendono rispettosi, attenti; si sostengono a vicenda.
Raffaele Ausiello, Francesca Borriero, Roberto Ingenito si ascoltano: lo sanno fare. Metafora della vita che vorremmo. Anche chi occupa la scena per vari minuti, senza azione o voce. Ciascuno fa parte di una scenografia scarna ed essenziale; a turno ne costituisce accessorio ed elemento portante anche se tutto ruota intorno ad una meravigliosa macchina scenica che accoglie il pubblico fin dall’inevitabile e garbato vociare dell’ingresso in sala degli spettatori che riempiono in ogni ordine di posto la cavea della Sala Assoli, illuminata – come sempre – in maniera intrigante e intima, e adoperata – in alcuni momenti – come propaggine del palcoscenico.
Difficile non sentirsi al posto giusto in un luogo come questo.
Il testo e la regia di Fabio Pisano ricordano di continuo quale sarebbe stata la forma originale di una rappresentazione tradizionale dell’Alcesti; rendono dinamico il riferimento alla fedele espressione del testo; consentono allo spettatore di comprendere, prendere fiato, prepararsi al successivo episodio in cui A.D.E. è suddiviso.
La sinossi parla di un sacrificio estremo; il sacrificio di Alcesti, giovane donna, madre di due bambini, che sceglie di offrire la propria vita in favore di Admeto, suo marito, dopo che Apollo (condannato da Zeus a fare da schiavo allo stesso Admeto) riesce ad ottenere dalle Moire la grazia – per il suo padrone – di sfuggire alla morte, in cambio di altrui sacrificio. Sarà Eracle – ospite di Admeto – a cui il padrone di casa ha tenuto nascosto il reale motivo dei segni di lutto presenti nella sua casa – a scendere nell’Ade e a riportare ad Admeto la propria moglie, tornata in vita.
Una storia di vita e di morte.
Uno spettacolo in cui la madre, che offre se stessa alla morte, esprime la propria ansia di lasciare i figli nella gestione del Re, suo marito; uno spettacolo in cui vengono a galla forza e fragilità di un Re e del suo ospite semidio; uno spettacolo che mette a confronto il dolore di tremila anni fa con quello riportato dalle cronache, di luoghi vicini e distanti da noi.
Smettetela”, ricorda Francesca Borriero – Alcesti in scena – se ci fosse il coro.
Smettetela”, vorremmo fosse l’eco che avvolge chi – ancora dopo tremila anni – sceglie la guerra.
Ma qui, il coro, non c’è. 

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