“Zio Vania” riveduto e corretto: alla fine paga il coraggio del regista
Diciamolo subito: ci vuole un certo coraggio a portare in scena un’opera come “Zio Vania”. Ci vuole coraggio perché si tratta del capolavoro di Chevov, commedia che è stata rappresentata in tutto il mondo. Parliamo di una commedia scritta negli ultimi anni del XIX secolo, parliamo quindi di quasi 130 anni fa. Una commedia che fotografa la situazione nella Russia zarista, un qualcosa che è decisamente lontano dal nostro modo di vivere.
Ha avuto coraggio il regista Leonardo Lidi a portarla in scena. Avendo l’intelligenza di non seguire alla lettera la scrittura originale. Una commedia che in origine era divisa in 4 atti, portata ad un solo atto, della durata di poco più di un’ora e mezza. Il teatro è cambiato in oltre un secolo, la durata di un lavoro è di molto ridotta. Per fare una cosa del genere si è dovuto in pratica cancellare la scenografia. L’opera in scena da martedì scorso al Mercadante ha visto la scenografia ridotta ad un muro ed ad una panca sulla quale i vari personaggi sviluppano la loro storia. Per altro la scelta di non chiudere mai il sipario, che il pubblico ha trovato aperto sin da subito, prima dell’inizio della commedia, ha tolto ogni sorpresa.
Un atto unico ha anche ridotto lo spazio temporale. Che era di vari giorni nel lavoro di Chevov, che in questa edizione è stato senza soluzione di continuità. O per meglio dire: si capisce che ci sono interruzioni temporali, ma non si capisce quali siano. Insomma, il tempo è come sospeso.
La storia è quella di Chevov, ovviamente. Quella di una famiglia particolare, in cui non esserci nessuno che possa dirsi normale. Tutti con una vena di follia. A partire ovviamente dal protagonista, zio Vania. Ma anche e soprattutto il professor Serebrijakov, e del dottor Astrov. Un lavoro coraggioso perché un “po’ pesante”. Bravi gli attori, che muovendosi su un palco senza scenografia fanno fatica, ma che alla fine riescono a portare al termine la commedia senza intoppi. Il che, viste le premesse, è di per sé una cosa lodevole.
Un lavoro in ogni caso in linea con il progetto del direttore del Teatro di Napoli, Roberto Andò. Dopo “Lalbergo dei poveri” andato in scena nelle scorse settimane, un altro lavoro simile, per quanto con una storia più strutturata. Il pubblico presente alla prima ha seguito in religioso silenzio, per poi applaudire alla fine. Non c’era il pubblico delle grandi occasioni, a dirw il vero, ma chi era presente ha gradito. Il che alla fine è la cosa che conta.