“Perchè ricordare? Bisogna ricominciare. A Mosca!”

Tre. Le Sorelle Prozorov

Palazzo Corigliano occupa buona parte di uno dei lati di piazza San Domenico Maggiore e fa presenza di sé insieme a Palazzo di Sangro, Palazzo Petrucci, Palazzo Carafa della Spina e alla parete esterna dell’abside della Basilica di San Domenico Maggiore.
E’ da sempre il “palazzo dell’Orientale”, con un portone sempre chiuso, pareti imbrattate (portone compreso) da orribili opere di artisti di strada armati di bombolette spray e l’idea che da qualche parte qualcuno beneficia della bellezza architettonica di un palazzo costruito quando la bellezza e l’eleganza rappresentavano un modo per esprimere il potere di famiglie nobili o presunte tali.
Studiare la storia con rigore e metodo significa anche sapere quale sia la verità dietro un fregio, uno stemma, una sala affrescata.
Grazie al teatro, venerdì sera – 10 maggio 2024 – quel portone ha aperto l’ingresso a un palazzo storico elegante, al cui interno restauri discutibili e chissà quanto in linea con lo stile originario rendono fruibili gli ambienti (tra gli altri) all’Università Orientale (attuale proprietario) e – appunto – al teatro.
Giovanni Meola, all’interno della interessante rassegna di Wunderkammer – Occasioni di cultura in spazi d’autore – ha portato in scena il suo “Tre. Le Sorelle Prozorov”, liberamente tratto da “Le Tre sorelle” di A. Cechov con Roberta Astuti, Sara Missaglia e Chiara Vitiello.
Pubblico inconfondibile, da Piazza San Domenico.
Wunderkammer accoglie i suoi ospiti con la degustazione di vino e taralli e la gentilezza che ne caratterizza l’ospitalità.
Il clima è ideale.
Il teatro di Giovanni è un teatro vero, sincero, diretto. E’ un teatro che si adatta a ogni palcoscenico, a ogni platea, città, provincia, quartiere. E’ un teatro che porta dinanzi al pubblico testi inediti alla stessa stregua dei capolavori dei giganti, smontati e rimontati con la tecnica di un mosaico dalle grandi tessere che, viste da vicino sembrano frammenti decifrabili solo con l’impegno e lo spirito di osservazione degli appassionati, ma che nel loro insieme e visti alla giusta distanza restituiscono a chiunque anche i testi che hanno fatto la storia del teatro, attraverso la semplicità di una regia essenziale, rigorosa, piena di spunti e riferimenti.
Il capolavoro di Cechov ha visto impegnate tre fuoriclasse del palcoscenico, attrici navigate e preparate che – in aggiunta ai loro rispettivi repertori ed esperienze personali – lavorano sistematicamente con Giovanni, dimostrando affiatamento impeccabile sia tra di loro che con il loro regista. Parliamo di Roberta Astuti, Sara Missaglia e Chiara Vitiello, attrici giovani con alle spalle un bagaglio di esperienza da far invidia a chiunque intraprenda l’affascinante e difficile professione di attore.
Giovanni è accogliente con i suoi spettatori, anche fino a pochi minuti dal fatidico “chi è di scena”.
Lo vedi sorridente e rilassato, concentrato, orientato al miglior risultato possibile.
Al secondo piano di Palazzo Corigliano è allestita la sala, in un’ampia stanza con soffitto decorato da stucchi, enormi specchi – incorniciati in oro e intarsi di gesso – le cui opacità a macchia di leopardo ne rivelano l’antichità. La sala è avvolta da una balconata che dà sull’antistante piazza e da cui sembra si possa toccare con mano la guglia che di San Domenico porta il nome. Lo spazio scenico è costituito da un grande tavolo spoglio e uno specchio con consolle ed è li che Giovanni attende le sue attrici mentre – da solo – regola alcuni vecchi riflettori, un banco mixer poggiato su un banchetto, un altoparlante da pavimento.
E nulla più.
A luci di sala ancora accese fanno ingresso Roberta, Sara, Chiara. Indossano una divisa che non lascia dubbio circa l’ambiente e la dislocazione geografica delle scene che andranno a recitare. Attendono composte e silenziose, mentre il rappresentante di Wunderkammer – giustamente fiero del suo ruolo – presenta brevemente la storia di Palazzo Corigliano e le attività svolte da Wunderkammer. La scena – in effetti – è già iniziata e mentre ascoltiamo la storia della sala che ci ospita osserviamo le attrici, ammaliati dal loro rigore, dalla concentrazione del loro respiro, dal loro sguardo serio e pronto.
Tre fiere, agili e grintose, pronte a scattare.
Roba da professionisti. Chiunque si fosse trovato al loro posto, si sarebbe lasciato andare al dubbio e all’ansia, in attesa di lì a poco – nel buio – di diventare uno dei tanti personaggi (femminili e maschili) che le tre attrici saranno chiamate a rappresentare.
Roberta, Sara, Chiara, si conoscono bene, e si vede. La loro intesa non necessita nemmeno che i loro sguardi si incrocino; i loro ingressi ed uscite sono precisi e veloci come precisi e veloci sono il cambio di espressione e registro dei personaggi rappresentati.
Non c’è tempo per ragionare circa i frammenti stipati nella memoria della trama di Cechov, per costruire con l’immaginazione scene e scenografie che – di fatto – in questa rappresentazione non ci sono. Il sistema – forse – è lasciarsi andare, affidarsi a un testo ricomposto, a una riscrittura stimolante, alle capacità espressive di attrici instancabili che affrontano con autorità e sicurezza anche un impegno fisico non da poco.
Nemmeno il tempo di domandarci cosa sarebbe lo spettacolo con tagli di luce più sofisticati, con una scenografia appositamente disegnata, un service più avanzato e un palcoscenico ad altezza standard che il tempo della recita passa in fretta e – senza che ce ne accorgiamo – lo spettacolo volge al termine: gli applausi convinti e insistenti del pubblico non si fanno attendere.
Ha un che di apotropaico il divertente gioco di Roberta, Sara e Chiara che uscite di scena e richiamate alla ribalta dagli applausi, si incrociano ridendo, si scambiano di posto, si spingono a vicenda al centro, si commuovono – paradossalmente incredule di aver condotto al meglio il loro ennesimo lavoro – mentre sorridono entusiaste, felici, rendendo felice ed entusiasta il loro pubblico.
Fuori, nella piazza, le luci della città prendono il posto del crepuscolo.
Dalla grande finestra della sala al secondo piano di Palazzo Corigliano entrano musica, voci, scoppi di fuochi d’artificio e lampi di un artista di strada che, con bolle infiammate, incanta turisti e avventori abituali di quell’angolo della città.
Il viaggio delle Tre Sorelle prosegue.
Le aspettiamo, in qualunque stazione si fermeranno.

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