La Fedra di Curran conquista Pompei
Gli applausi convinti del pubblico del Teatro Grande di Pompei hanno sancito il successo di Fedra- Ippolito portatore di Corona. Dopo aver debuttato a Siracusa a maggio la Fedra del regista scozzese Paul Curran ha concluso la fortunata rassegna Pompeii Theatrum Mundi 2024. Non era semplice trattenere il pubblico visto il caldo di giovedì sera, il giorno della prima. Il solo fatto si esserci riusciti sta ad indicare la bravura del cast. Tutti bravi, dalla impeccabile Fedra, Alessandra Salamida, ad Ippolito, Riccardo Livermore. Per conclude con un “trascinante” Teseo, Alessandro Albertin
Nella Fedra, come spesso nei drammi di Euripide, a farla da padrone sono le emozioni più cupe, le spinte più bieche che animano l’agire umano: la Fedra del Pompeii Theatrum Mundi 2024 è il dramma della vendetta, la tragedia in cui si compie e si ricompie in un loop senza fine la nemesi. Afrodite vendica il suo orgoglio di divinità ignorata, Fedra vendica il rifiuto subito e l’onore irrimediabilmente macchiato, Teseo vendica la morte ingiusta di una moglie che crede devota.
Ippolito, giovane sfrontato e superbo, che per primo aveva innescato il meccanismo della cieca vendetta con la sua arrogante pretesa di sottrarsi alla venerazione della più crudele delle divinità, Afrodite, lungi dall’essere un eroe finisce però per essere colui che spezza con il perdono questo loop infinito di atroci rivalse, che lascia dietro di sé un fiume di sangue e disperazione.
La Fedra di Curran è un dramma di pura introspezione, di indagine nel buio cieco delle emozioni umane. Questa è dunque la chiave di lettura con cui Curran riesce ad attualizzare il mito euripideo: questa storia senza tempo fa luce sulle ansie contemporanee legate alla salute mentale e sui pericoli di ossessioni malsane e incontrollabili, per non parlare delle conseguenze delle reazioni emotivamente cieche.
La Fedra di Curran resta, dunque, fedele nello spirito e nell’intenzione catartica all’originale dramma euripideo: ne conserva il testo, lo spessore umano dei personaggi, la volubilità uterina degli dei, la drammatica miseria delle vicende umane. Eppure qualcosa nella messa in scena ha impedito la catartica immedesimazione nel dramma disumano della vendetta, della paranoia, dell’ossessione amorosa. Un complesso di luci, colori, immagini variopinte, costumi sgargianti e sfavillanti ha reso troppo luminoso il cupo e torbido dramma che alberga negli abissi della mente umana.