Chiesa di San Maurizio
Chiesa di San Maurizio
Questa chiesa, più che col nome di S. Maurizio, è nota con quello di Monastero Maggiore, perchè annessa al Monastero delle Benedettine (soppresso nel 1799) che era il più antico della città, avendo servito, secondo la tradizione, da prigione a S. Gervaso e Protaso.
Aveva così alta importanza questo Monastero, che lo stesso Barbarossa nella demolizione di Milano lo volle risparmiato.
Abbattuta la primitiva chiesa, di cui si ignora la data di costruzione, sull’area della medesima nel 1503 sorse l’attuale, per opera dell’architetto pavese Gian Giacomo Dolcebono. Il Solari la condusse poi a termine.
La fronte, su ben proporzionati basamenti, si eleva a tre ordini, seguendo la progressione dal dorico all’ionico, per finire nel corinzio. I sostegni che portano queste impronte sono sei pilastri per piano, gli uni sovrastanti agli altri, di lievissimo aggetto e divisi da trabeazioni altrettanto basse.
L’interno della chiesa è a una sola navata, semplicissimo: un lungo parallelepipedo, diviso per traverso nel mezzo, da una parete verticale fino alle imposte della volta. Perciò due chiese: l’anteriore per il popolo, la posteriore per il chiostro, colla sola differenza di una loggetta superiore girante per tre lati della chiesa (eccetto la fronte interna) senza discontinuità e con la comunicazione unica del lato. del chiostro, sicchè le suore potevano vedere il pubblico nella chiesa, rimanendo celate allo sguardo dei fedeli.
La semplicità di questa architettura non è disgiunta dall’eleganza; le basi sono ben proporzionate e snelle; le combinazioni, spontanee; i profili vi sono puri. La fortuna veramente rara di questa chiesa è l’essere stata condotta a termine senza interruzione, in quell’epoca felice dell’arte milanese che fu il primo trentennio del secolo XVI e d’essere divenuta il campo fecondo ove, quel prodigioso artista che fu il Luini, svolse gran parte della sua mirabile attività.
E’ una delle poche chiese in cui non si mise mano a restauri tranne che per gli affreschi nel 1964 e nel 1986, così che la vediamo ancora nella sua bellissima veste originale, forse perchè il suo splendore costringeva a rispetto anche in tempi di diversa tendenza. L’edificio passò nel 1864 in possesso del municipio, il quale non ha mancato di circondare di cure e conservare il più possibile il monumento d’arte.
Quando nel 1872 venne aperta la via Bernardino Luini, il fianco orientale rimase denudato; perciò si provvide, su disegno del pittore Angelo Colla, a rimediarvi con un indovinato ordinamento architettonico.
La chiesa, a una sola navata, si prolunga coperta da due spioventi di tetto. La parte corrispondente al terzo ordine della facciata indietreggia e da luogo, sui due fianchi, a un seguito d’archi a scarico dei muri di sostegno delle ali del tetto.
Queste arcate, dieci per fianco, lasciano ancora intravvedere i dipinti a colori di cui erano coperti nel seno dell’arco, con una grande mezza figura, intorno al cui capo svolazza un filattere; il resto si distingue a chiaro-scuro con inquadrature a lacunari sotto la volta degli archi, ancora molto visibili a destra. Nell’interno della chiesa vediamo svilupparsi lo stesso organismo dell’architettura esteriore. Delle dieci arcate di cui consta la chiesa, quattro sono destinate al popolo, sei al convento.
La pittura che tutto riveste queste tempio dà tosto l’impressione di trovarci davanti a un gran monumento d’arte. Il colore, sotto forma di finta decorazione in rilievo, discende dalla volta, dove si dilata, simulando un complicato intreccio di nervature, che sanno ancora dell’arte acuta, per meglio acconciarsi, mano mano, al nuovo stile nelle volte della loggetta, sulle pareti e sui piedritti dei fianchi. Il colore poi trabocca ricco, vario e smagliante. Diversi sono gli autori di questi affreschi, mentre i putti sembrano tutti di Callisto Piazza.
Di fianco all’entrata, a sinistra, è la storia del Figliuol Prodigo; a destra Gesù che scaccia i venditori dal tempio; opera di un imitatore di Tiziano, attribuito a Simone Peterazzano. La porta a destra, che anticamente metteva al Monastero, è del Seregni.
Il resto di questa prima cappella è coperto di ornati a stucco. La cappella successiva, che reca un S. Giorgio e i SS. Giacomo e Lorenzo, è di Callisto Piazza. La seguente è dipinta per intero da Bernardino Luini. Il devoto a cui si deve la bella decorazione è Francesco Besozzi, il quale si vede ritratto in ginocchio, a sinistra, presentato da S. Caterina regina; poi S. Lorenzo, indi la Flagellazione; poi due episodi della vita di S. Caterina; a sinistra il suo martirio, e a destra la sua decollazione. Si vuole che i lineamenti della Santa, raffigurata in questo affresco, siano quelli della Contessa di Challant.
Nella volta è raffigurato l’Eterno Padre, circondato da Angeli, recanti i simboli della Passione. Nella seguente cappella, che forma parte del presbitero, non vi è gran che d’interessante; le pitture ai lati sembrano del Lomazzo.
La parete del tramezzo disvela la grande potenza del Luini. Lo spazio affrescato si divide in otto campi con altrettante storie; due nel centro, tre a ciascun lato. Unica cosa che su questa parete non sia del Luim è la tela del centro, opera di Antonio Campi, nella quale è rappresentata l’Adorazione dei Magi. Sovra questo quadro ecco l’Assunta luinesca in mezzo agli Angeli, al cospetto degli Apostoli inginocchiati e in atto di alta meraviglia. Nei campi a sinistra una S. Cecilia e una S. Orsola poste ai lati del Tabernacolo, sotto il quale un grazioso Angioletto sembra uscire da un foro rettangolare, recante in ciascuna delle mani una candela accesa. Nel timpano semicircolare che sta sopra è inginocchiata una figura, che si asserisce come il ritratto di Alessandro Bentivoglio, consigliere di Francesco II Sforza; questa figura è guidata all’altare da S. Benedetto, preceduta da S. Giovanni Battista e seguita da San Lorenzo. Nella testa del Santo abate si ravvisa l’autoritratto del Luini. Nel campo superiore è il martirio di S. Maurizio, patrono della chiesa.
Le composizioni a destra raffigurano: una pietà, fiancheggiata dalle figure di S. Apollonia e Santa Lucia; sopra è una figura che fa riscontro ad Alessandro Bentivoglio e sembra essere la sua consorte Ippolita Sforza; è circondata da S. Scolastica, da S. Agnese e Santa Caterina d’Alessandria. Superiormente, tra i pilastri, è dipinto il Re S. Sigismondo che offre a S. Maurizio il modello della nuova chiesa. Nel fondo si vede il martirio dello stesso Re. Tutto questo affresco, stupenda meraviglia artistica, è da ritenersi eseguito tra il 1525 e il 1530.
L’altare di marmo è opera del 1793. Nella cappella a sinistra, come fu già accennato prima, esistono due gruppi attribuiti al Lomazzo, imitazione dalla Cena del Vinci. Gli affreschi della cappella vicina sono del 1545; non sono frutto del pennello del Luini, ma rivelano uno dei suoi migliori aiuti. La cappella seguente dal lato sinistro pare affrescata dal Gnocchi, allievo di Aurelio Luini; e il lato destro da un Del Caretto. L’ultima cappella reca gli affreschi eseguiti da Aurelio Luini e dal sommo Luini; sulla parete principali è raffigurata una Risurrezione; ai lati la Maddalena ai piedi di Cristo risorto e Gesù che va a Emmaus.
La parte della chiesa una volta destinata al convento è perfettamente simmetrica all’altra parte. Nella parete di sfondo, come quella della fronte verso la via, si aprono quattro finestre, tre uguali, ad archi tondi, sulla medesima linea, la quarta, più grande, superiormente a forma circolare. Questa chiesa si differenzia dall’altra per la conformazione del campo ove risiede l’altare monastico, appoggiato alla parete divisoria e a ridosso di quello del popolo, dal quale è separato per mezzo d’una grata di ferro, che permette la visione delle cerimonie all’altare. Qui l’organismo si trasforma; una divisione orizzontale al piano del pavimento delle logge circostanti vi costituisce una terrazza; per cui il giro superiore della chiesa claustrale è completo e, di qui, gli è dato estendersi alle logge sovrastanti alla chiesa del popolo.
Il terrazzo con parapetto s’appoggia sopra un grande arco clinico, sorretto da grossi pilastri e da altri archi minori che lo congiungono alle insenature laterali; per cui ne nacque un rannodamento di piani e di piccole volte triangolari, che prestarono all’arte un mirabile campo, su cui il pennello si potè sbizzarrire. Il coro del Dolcebono ha un profilo largo, semplice e fine. L’intaglio è di gusto eccellente. L’organo che si allaccia al giro del coro è opera del milanese Gian Giacomo Antegnati, compiuta nel 1534. Le pitture, che avvolgono l’altare e la parte circostante in un trionfo di colori, sono del grande Luini che qui, con linguaggio ancor più efficace, ha rivelato quanto possa l’arte del pennello.
Attorno all’altare, testimonio del quotidiano rinnovarsi del sacrificio di Cristo, sta, genialmente concepita ed appropriata, la storia della sua Passione. Essa è svolta in nove composizioni cicliche. Sono nove canti di un poema ricco di inspirazione, che canta nella vivida gamma dei colori l’epopea del martire del Golgota.
Sembra quasi che l’artista, più che i colori, abbia trasfuso su quei freddi muri la luce a piene mani, traendovi vibrazioni e armonie castigate in linee dolci, sì da dare pur all’occhio esigente la gioia più intera e più pura. Anche da questa parte si ripete attorno all’altare la composizione che sta all’altra parete. Quattro sante che tengono in mezzo il Tabernacolo; a sinistra v’è quello a semplice sportello per l’amministrazione dell’Eucaristia; a destra quello a forma di tabernacolo e fatto in modo da venire aperto anche da questo lato. I due sportelli sono decorati: l’uno con un Cristo recante la Croce; l’altro col caratteristico Angioletto che si inoltra coi ceri accesi.
Sopra i pilastri a fianco dell’altare stanno S. Sebastiano e S. Rocco. Nel basamento di questa magnifica pagina pittorica, stanno Angeli dal dolce sorriso luinesco e Santi in formelle di medaglie, simulanti la terra cotta, che vi si annidano a compierne la stupenda decorazione. E questa gira e abbraccia tutto lo spazio, fino ai pilastri che sostengono il grande arco ellittico, dove altre mezze figurine di Sante coronano questo soavissimo spettacolo d’arte. Nei triangoli di questo grande arco, Bartolomeo Suardi frescò un’Annunciazione. L’opera dello stesso artista fa capolino qua e là nelle piccole figure intere che, entro segmenti mistilinei, abbracciano le finestre circolari che si aprono negli sfondi dei dieci archi circostanti. Sono venti figurine che rivelano quasi un sapore che avvicina ad Ambrogio da Fossano.
Nello sfondo opposto all’altare dipinse uno dei figli di Luini o l’Aurelio o il Gian Pietro. Sono cinque composizioni che descrivono scene della Passione. Sulla loggetta superiore, al di sopra degli archi interni di passaggio, entro una simulata finestrella circolare, sporgono mezze figure muliebri di Sante. Sono ventisei, alcune di nobiltà e bellezza veramente stupende, come S. Caterina, S. Lucia, Santa Margherita, S. Agnese. L’autore di questi ventisei piccoli capolavori che onorano la Scuola Lombarda, tanto che, più che sembrare della maniera Luinesca paiono figure del pennello Leonardesco, non ci è purtroppo noto con sicurezza; alcuni vi riconoscerebbero il Boltraffio. Su questa loggia ci troviamo innanzi, ancora una volta, a uno dei figli di Luini, l’Aurelio, nei due grandi affreschi « I Magi » e « Il battesimo di Cristo » datati col 1556. « La Cena in casa del Fariseo », rivela la decadenza che indeboliva un’arte condotta un quarto di secolo prima a così belle altezze e a così soavi concezioni.
A completare il meraviglioso panorama di bellezza, concorrono pitture monocrome, sparse sul resto delle pareti e delle volte. I vani esistenti dietro gli stalli del coro erano originariamente affrescati solo nella parte superiore, cioè quella visibile, tranne i due ultimi vani, decorati completamente, perchè i soli non coperti dagli stalli; uno di questi ultimi due stalli reca un affresco che ci dà tutta la vasta famiglia degli animali che Noè invia in bell’ordine entro l’arca, prima del diluvio.
Le due torri, una rotonda e l’altra quadrata, poste dietro la chiesa, sono costruite con grandi e solidi mattoni romani che non lascian dubbio sulla loro origine. Questa, e soprattutto quella quadrata, sono state restaurate da Ansperto, ma erano preesistenti a lui. Dovevano appartenere tutt’e due al palazzo imperiale, edificato da Massimiano, e detto anche di Stilicone, perchè il famoso generale vi ebbe dimora. Questo palazzo con le sue due torri è indicato fin dall’880 come costruzione già da parecchio esistente. La torre rotonda colla sua massiccia costruzione andò soggetta a ben pochi cambiamenti ed è realmente da considerarsi come autentica torre romana. Ansperto deve aver piuttosto fatto restaurare la torre quadrata. Il ballatoio a tre archi par lato che oggi termina la torre è un’aggiunta del secolo IX.
La chiesa è al centro di Milano raggiungibile con la metro M1 scendendo alla fermata “Cairoli Castello” è aperta tutti i giorni dalle 9.30 alle 19.30 tranne il lunedì che è chiusa, l’ingresso è gratuito.