“Lunga è la notte che non trova mai giorno” (Malcom, IV, 3′)
Al Teatro Mercadante in piazza Municipio, a Napoli, va in scena dal 4 al 15 dicembre Macbeth, con la regia di Jacopo Gassmann. Interpreti Roberto Latini, Lucrezia Guidone, Gennaro Apicella, Riccardo Ciccarelli, Sergio Del Prete, Antonio Elia, Fabiana Fazio, Nicola Pannelli, Marcello Manzella, Olga Rossi, Michele Schiano di Cola, Paola Senatore. Voce registrata Giovanni Frasca.
Una brigata di lusso e qualità.
Chi sceglie di affrontare il freddo di un dicembre che finalmente sa di inverno, magari dopo una giornata di lavoro, si copre a dovere e va a vedere un Macbeth, più o meno sa cosa lo attende: la rappresentazione della storia drammatica del protagonista nel suo tentativo di conquistare il trono di Scozia, scopo che persegue insieme alla moglie Lady Macbeth che lo guida come un burattino, commettendo efferati omicidi e delitti.
Chi invece è un abituale frequentatore delle sale teatrali, sa benissimo che sarebbe un grave errore assistere alla messinscena di testi rappresentati da centinaia di anni in quanto non sai mai cosa può accadere e a cosa puoi andare incontro.
Macbeth non fa eccezione.
Ecco perche l’uomo fa teatro da tremila anni.
E’ la magia del teatro.
Lo spettacolo al Mercadante, fin dal primo istante e dal primo quadro in scena, mostra in modo inequivocabile la rilettura che il regista ha inteso dare sia alla rappresentazione sia alla direzione che propone, nell’avvicendare personaggi, eventi, luoghi, monologhi, temi.
L’ambizione di potere e l’effetto che tale sentimento esercita sul protagonista sono – com’è noto – il tema dominante dell’intera narrazione che snoda la propria storia in un interessante intreccio di personaggi e del racconto delle vicende che li riguardano, in un avvicendarsi lento e solenne di movimenti di scena che – senza disturbare lo spettatore – riempiono l’ampio palcoscenico del Mercadante, sfruttato in ogni suo centimetro.
A contribuire in maniera sorprendente all’equilibrio cromatico e geometrico dell’intera compagnia in scena, partecipa l’originale utilizzo del sipario (o per meglio dire dei sipari) che, a volte occultando interamente la scatola scenica e a volte ripartendo in senso frontale e parziale il boccascena, restituisce il morbido effetto di cambi di scena immediati che in pochi secondi ci riportano ora in varie sale del castello, ora nel bosco di Birnam, ora nei luoghi dell’incontro di Macbeth con le Tre Streghe, ora sui campi di battaglia. Ogni ambiente così creato, quasi magicamente dal nulla, e’ riempito e sottolineato da sapienti ed efficaci giochi di controluce (in qualche caso abbaglianti) che sussurrano attraverso silhouette mute i movimenti e i loschi accordi di corte che si intuisce avvengono, mentre gli attori – a turno – si impegnano nei loro monologhi.
Lo spettacolo indugia poco sulla trama in favore dell’interpretazione di ciascun attore.
Non risulta semplice seguire la storia, a meno di non conoscerla bene; anche i tempi del testo originale vengono smontati e rimontati con leggere differenze di componimento, come un puzzle che – anche cambiando di posto alcuni pezzi – rende egregiamente l’effetto dell’opera completa.
Viene dato ampio spazio – invece – alla personale interpretazione di ciascuna parte e ogni attore ha modo di colorare in maniera molto personale lo schizzo del proprio personaggio, in un’armonia sottile e impalpabile, che viene fuori man mano che si dipana il testo e offre . Alla fine – un risultato egregio e appagante.
E’ la tragedia dei conflitti: del bene contro il male, dell’ambizione contro la paura, della vita contro la morte, della normalità contro la pazzia. E’ la tragedia del bianco e del nero che si alternano in contrasto all’interno di ciascun protagonista. Nessuno è davvero innocente e nessuno è del tutto colpevole. Ciascuno nel proprio essere e nella propria mancanza di coerenza appare come un tassello di un mosaico inesorabilmente decadente, opaca istantanea di una visione lacerante della vita.
Forse è questo il motivo per cui Macbeth viene ciclicamente rappresentata: perchè dal 1600 questa tragedia parla dell’Uomo di allora e dell’Uomo che sarebbe diventato: sempre lui, sempre quello, con le stesse incoerenze, la stessa sete di potere, lo stesso stile codardo e incoerente di affermazione, di conquista.
In sala tanti giovani, attenti e silenziosi, sedotti dalla scena e – francamente – sarebbe stato strano il contrario.
All’uscita, il freddo è diminuito; la scultura di Gaetano Pesce, lo stiloso albero di Natale e la carrozza a forma di pallina di Natale tirata da renne (posti dinanzi al Municipio), l’imponente sagoma di Castel Nuovo rubano per una notte la scena al fraudolento Re di Scozia, una notte in cui – rubando le parole al regista – “tutto va storto, in cui l’ordine delle cose è rovesciato e la natura stessa viene ferita e violentata”.
Spaccato di un passato che è storia; metafora lucida e spietata di una cruda e contemporanea realtà.