Oggi è San Francesco d’Assisi

San Francesco d’Assisi


San Francesco d'Assisi

autore: Guido Reni anno: 1606 / 1607 titolo: San Francesco confortato da angelo musicante luogo: Pinacoteca Nazionale, Bologna
Nome: San Francesco d’Assisi
Titolo: Patrono d’Italia
Nome di battesimo: Giovanni di Pietro di Bernardone
Nascita: 26 settembre 1182, Assisi
Morte: 3 ottobre 1226, Assisi
Ricorrenza: 4 ottobre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Festa
Canonizzazione:
16 luglio 1228, Assisi, papa Gregorio IX
S. Francesco nacque ad Assisi il 26 settembre dell’anno 1182 da Pietro Bernardone e da madonna Pica, ricchi commercianti. La sua nascita fu circondata da avvenimenti misteriosi: un mendicante, presentatosi a madonna Giovanna Pica, pochi giorni prima della nascita di Francesco, le disse: « Fra queste mura spunterà presto un sole… »; il giorno stesso della nascita, essendo la madre oltremodo accasciata per i dolori del parto, un altro pellegrino le disse: « Tutto andrà bene, purchè la madre sia condotta nella stalla », e così avvenne. Un altro giorno fu udito pér le vie di Assisi un romito che gridava: « Pace e bene, pace e bene! » il futuro motto di Francesco. La dolce madonna Pica taceva e pregava, pensando: cosa mai sarà di questo fanciullo così prediletto da Dio?

Intanto Francesco cresceva vivace, allegro, amante delle spensierate brigate, delle laute cene, dei suoni e dei canti. Siccome gli affari andavano bene, il padre lo avviò alla mercatura. Di ingegno vivace, riusciva a meraviglia; combattè anche contro Perugia e sostenne lunga prigionia.

La grazia di Dio intanto lavorava. Un giorno gli amici, vedendolo assorto, gli domandarono: « Pensi a prendere moglie? »« Sì, rispose Francesco, e sposerò la donna più bella e più amabile del mondo ». Si riferiva a « madonna povertà »! Una mattina, è colpito, in una chiesetta di campagna davanti al Crocifisso di San Damiano, da un brano del Vangelo, che dice: « Non tenere né oro né argento né altra moneta; non borse, non sacchi, non due vesti, non scarpe, non bastone  ». Fu allora che il Crocifisso gli parlò con commovente bontà: « Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va’ dunque e restauramela ». Tremante e stupefatto, il giovane rispose: « Lo farò volentieri, Signore ». Egli aveva però frainteso: pensava si trattasse di quella chiesa che, per la sua antichità, minacciava prossima rovina. Per quelle parole del Cristo egli si fece immensamente lieto e raggiante; sentì nell’anima ch’era stato veramente il Crocifisso a rivolgergli il messaggio.

Preghiera in San Damiano

titolo Preghiera in San Damiano
autore Giotto anno XIII sec.

Si spogliò dunque di tutto, diede quanto aveva in elemosina, e a suo padre che l’aveva citato davanti al Vescovo, diceva rendendogli anche i vestiti: « Finora ho chiamato Pietro di Bernardone mio padre, d’ora in poi a maggior ragione dirò: Padre mio che sei nei cieli ». Esce all’aperto e, immediatamente. mette in pratica il consiglio evangelico. Si scalza, s’infila una tunica contadinesca, getta la cintura di cuoio e al suo posto s’annoda sui fianchi una corda. (La cintura di cuoio era nel medioevo la parte più importante dell’abito, tanto importante che Dante. quando vorrà lodare la rude semplicità dei vecchi fiorentini, li dirà “cinti di cuoio e d’osso”)

Da quel giorno l’eroismo di Francesco non ebbe più limiti: i poveri, i lebbrosi, gli ammalati di ogni specie furono la sua parte életta. Fu trattato da pazzo, percosso, vilipeso, maledetto, ed egli ricambiava tutto con preghiere, carità, amore. Ai suoi seguaci che volle chiamare « Frati Minori » insegnava il lavoro, l’elemosina, la preghiera e la povertà più assoluta.

Cappella delle Rose

Capella delle Rose, il luogo dove sorgeva originariamente la capanna che ospitava San Francesco. Venne trasformato in cappella per volere di San Bonaventura intorno al 1260 ed fu definitivamente ampliata formando l’attuale “Cappella delle Rose”, da San Bernardino da Siena, nel 1440 circa. Sotto l’altare della cappella, accanto alla statua del Santo in preghiera, si trovano i resti delle travi che formarono il pulpito dal quale egli annunciò, in presenza dei vescovi dell’Umbria, la grande Indulgenza della Porziuncola

All’inizio del 1209 Francesco assieme ai suo adepti si riunì così in una capanna nella località di Rivotorto, nella pianura sottostante la città di Assisi, presso la Porziuncola, iniziando così la prima scuola di formazione dove oltre ad insegnare i suoi principi fondamentali istruì i discepoli alla questua per sostenersi e per riparare le chiese danneggiate.

Dove passò portò la benedizione di Dio: la pace fra le fazioni e l’amore fra i nemici: convertì peccatori, salvò miserabili, protesse oppressi.

San Francesco

autore Cigoli anno tra il 1597 e il 1599 titolo San Francesco

I tre voti francescani, obbedienza, povertà e castità, non erano pesi che il figlio di Pietro Bernardone prendeva sulle sue grame spalle e che imponeva ai compagni d’avventura. Al contrario, quei voti rendevano lui e i suoi seguaci più presti e leggeri. L’obbedienza scioglieva da ogni dubbio; la povertà liberava da ogni cupidigia; la castità sollevava da ogni impegno carnale. I vizi contrari a quei voti, cioè la superbia, l’avarizia e la lussuria, erano tre mostruose fibbie, che imbrigliavano l’uomo mondano.

Benedetto dal papa, estese ovunque ed a tutti la sua opera; istituì le Clarisse; fondò e diffuse il Terz’Ordine. Andò in Egitto e Palestina per far cessare le ostilità tra i due popoli, mandò apostoli dappertutto a portare «pace e bene ».

Alla Verna, Dio impresse sul suo servo fedele il segno del suo amore: le sacre stimmate.

Compose laudi in onore del suo Dio perchè esclamava: « L’amore non è amato, l’amore non è amato! ». Morì, benedicendo i suoi figliuoli e la sua cara città di Assisi, il 3 ottobre 1226.

Fu chiamato il più santo degli Italiani, e il più Italiano dei santi; assieme a S. Caterina da Siena è il grande protettore della nostra amata patria.

Fu proclamato santo da papa Gregorio IX nel 1228 e dichiarato, assieme a santa Caterina da Siena, patrono principale d’Italia il 18 giugno 1939 da papa Pio XII

PRATICA. Ad onore di S. Francesco facciamo oggi una mortificazione ed una elemosina.

PREGHIERA. O Dio, che per i meriti di S. Francesco accrescesti la tua Chiesa di una nuova famiglia, concedici di disprezzare a suo esempio le cose terrene, e di poter partecipare alla gioia dei doni celesti.

MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Assisi, in Umbria, il natale di San Francesco, Levita e Confessore. Fondatore di tre Ordini, cioè dei Frati Minori, delle Povere Donne, e dei Fratelli e delle Sorelle della Penitenza. La sua vita, piena di santità e di miracoli, fu scritta da san Bonaventura.

PROVERBIO. A San Francesco arriva il tordo e il fresco.

SAN FRANCESCO E IL NATALE

Per Francesco il Natale era la festa delle feste, appunto perché Dio stesso, con la sua adorabile incarnazione, scendeva in terra, e si faceva fratello degli uomini. Frate, non monaco. L’eterno entrava nel tempo; l’immobile diventava viandante. Dal Natale in poi, tutte le strade sarebbero state come quella d’Emmaus.

Il santo dell’umiltà si commuoveva all’idea dell’infinita umiliazione di Dio che si fa uomo. Il santo della povertà piangeva al pensiero dell’estrema indigenza di Gesù, nato in una stalla. E finalmente, il santo della perfetta letizia si rallegrava al ricordo dell’Alleluia celeste.

Il Natale era dunque la festa più francescana dell’anno liturgico. Vi si celebrava l’umiltà, la povertà e l’innocenza. I tre voti francescani brillavano, con meraviglioso fulgore, nel cielo natalizio.

“Se io potessi parlare all’imperatore,” diceva Francesco “vorrei pregarlo di emanare un comando generale, perché tutti coloro che lo possono, spargano per le vie frumento e granaglie nel giorno di Natale, sicché in quel giorno di tanta solennità gli uccelli abbiano cibo in abbondanza”. Anche questo sarebbe stato un modo di rendere evidente la gioia natalizia, comunicandola, attraverso il cibo, anche agli abitanti dell’aria.

Un anno, il Natale cadeva di venerdì e fra’ Monco, il cuciniere, fu in dubbio se fare, in quel giorno, di grasso o di magro. “Faresti peccato, o fratello” gli gridò Francesco “chiamando venerdì il giorno in cui è nato Gesù. Vorrei che in un giorno come questo mangiassero carne anche le pareti e, non potendo, ne fossero almeno unte di fuori!”

Soltanto la fantasia d’un uomo sobrio e continente come lui poteva immaginare qualcosa di simile.

Nell’inverno del 1223 ebbe finalmente l’idea della prima sacra rappresentazione. Mandò a chiamare il signore di Greccio, Giovanni Velita, e gli disse: “È mio pensiero rievocare al vivo la memoria di quel Bambino celeste che è nato laggiù in Betlem, e suscitare davanti al suo sguardo e al mio cuore gl’incomodi delle sue infantili necessità: vederlo proprio giacere su poca paglia, reclinato in un presepio, riscaldato dal fiato di un bue e di un asinello”.

Così, la notte di Natale del 1223, nel bosco di Greccio, avvenne la prima rappresentazione natalizia inventata da San Francesco: il Presepio.

Un sacerdote celebrò la Messa di mezzanotte sopra una mangiatoia. San Francesco, non essendo sacerdote, ma soltanto diacono, cantò il Vangelo della Nascita, e lo spiegò al popolo, accorso nel bosco di Greccio con fiaccole accese.

Chiamava Gesù ” il bambino di Betlem “, e nel pronunziare queste parole narra il suo primo biografo sembrava una pecora che belasse “talmente la sua bocca era ripiena, non tanto di voce, quanto di dolce affetto”. “E nominando il Bambino di Betlem, oppure dicendo Gesù, lambivasi con la lingua le labbra, quasi a gustare e deglutire la dolcezza di quel nome.”

San Francesco Presepe
Il presepe di Greccio di Benozzo Gozzoli,
Chiesa di San Francesco, Montefalco

SAN FRANCESCO PATRONO DEGLI ANIMALI

San Francesco chiamava gli animali « i nostri fratelli più piccoli ». Per loro aveva le attenzioni più delicate. Voleva scrivere a Federico II perché con un editto stabilisse che a Natale le strade fossero cosparse di granaglie e di grano per gli uccelli: anch’essi dovevano gioire per la nascita del Redentore. Perché non fossero calpestati, scansava dai sentieri i vermi. A Sant’Angelo in Pantanelli, presso Orvieto, viene mostrato tuttora uno scoglio sul Tevere, dal quale avrebbe gettato nel fiume dei pesci che gli erano stati regalati.

Un giorno S.Francesco andò alla elemosina assieme a frate Massèo e i due si imbatterono in un uomo che portava al mercato due agnelli da vendere, legati, belanti e penzolanti dalla spalle.

All’udire quei belati, il servo di Dio, vivamente commosso, si accostò, accarezzandoli, come suol fare una madre con i figlioletti che piangono, con tanta compassione e disse al padrone: “Perché tormenti i miei fratelli agnelli, tenendoli così legati e penzolanti?”. Rispose: “Li porto al mercato e li vendo: ho bisogno di denaro”.

E Francesco: “Che ne avverrà?”. E quello: “I compratori li uccideranno e li mangeranno”.

Nell’udire questo il santo esclamò: «Non sia mai! Prendi come compenso il mio mantello e dammi gli agnelli». Quell’uomo fu ben felice di un simile baratto, perché il mantello, che Francesco aveva ricevuto a prestito da un uomo proprio quel giorno per ripararsi dal freddo, valeva molto di più delle bestiole.

Infatti ogni creatura dice: Dio mi ha creato per te, o uomo! Noi che siamo vissuti con lui, lo vedevamo rallegrarsi interiormente ed esteriormente di quasi tutte le creature, così che, toccandole o mirandole, il suo spirito sembrava essere in cielo, non in terra. E per le grandi gioie che aveva ricevuto e riceveva dalle creature, egli compose, poco prima della sua morte, alcune Lodi del Signore per le sue creature, per incitare alla lode di Dio i cuori di coloro che le udissero, e così il Signore fosse lodato dagli uomini nelle sue creature.

San Francesco e gli animali

LA PREDICA AGLI UCCELLI

Dalla Leggenda Legenda Maggiore, biografia ufficiale di san Francesco d’Assisi, scritta tra il 1260 ed il 1263 da san Bonaventura da Bagnoregio« Avvicinandosi a Bevagna, giunse in un luogo (Piandarca) dove una moltitudine sterminata d’uccelli di varie specie s’eran dato convegno. Appena li vide, il Santo di Dio accorse tutto allegro e li salutò, come fossero dotati di ragione. Tutti gli uccelli erano in attesa e si voltavano verso di lui; e quelli sui rami, mentre egli si accostava, chinavano il capo per guardarlo. Quando fu in mezzo a loro, li esortò remurosamente ad ascoltare tutti la Parola di Dio, dicendo: “O miei fratelli alati, dovete lodare molto il vostro creatore: perché è stato lui a ricoprirvi di piume, a darvi le ali per volare, a concedervi il regno dell’aria pura, ed è lui che vi mantiene, liberi da ogni preoccupazione”. Mentre diceva loro queste e simili parole, gli uccelletti, gesticolando in meravigliosa maniera, allungavano il collo, stendevano le ali, aprivano il becco, guardandolo fisso. Ed egli passava in mezzo a loro, con mirabile fervore di spirito, e li toccava con la sua tonaca, senza che nessuno si muovesse dal suo posto. Finalmente, quando l’uomo di Dio, tracciando il segno della croce, diede loro la benedizione e il permesso, tutti insieme volarono via. I compagni, dalla strada, stavano a guardare lo spettacolo. Ritornato fra loro, l’uomo semplice e puro incominciò ad accusarsi di negligenza, perché fin allora non aveva mai predicato agli uccelli. »

La predica agli uccelli

titolo La predica agli uccelli
autore Giotto anno 1290-1295 circa

Si narra che la predica agli uccelli ebbe luogo sull’antica strada che congiungeva il castello di Cannara a quello di Bevagna. Oggi il luogo è segnato da una pietra in località Piandarca nel Comune di Cannara in un’area ancor oggi incontaminata. Nei pressi della pietra e lungo l’attuale strada che porta a Bevagna è edificata anche una piccola edicola a ricordo del miracolo.

Tra le scene più famose del santo, alcuni sostengono che questo sia il simbolo della predicazione di Francesco, capace di far intendere anche alle persone più semplici i profondi concetti evangelici. Altri ritengono che le varie razze di volatili si riferiscano ai vari ordini monastici di quel tempo.

È possibile anche che la scena alluda all’episodio evangelico in cui Gesù si riferisce agli uccelli, spingendo gli uomini a prendere esempio da loro e ad affidarsi alla Provvidenza, senza preoccuparsi eccessivamente delle faccende materiali dell’esistenza, certi di essere sempre aiutati.

“Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?”

Matteo VI, 26

SAN FRANCESCO E IL LUPO DI GUBBIO

Durante la permanenza di Francesco a Gubbio nella campagna circostante apparve un lupo terribile e feroce che divorava tutti gli animali. Gli abitati della città umbra erano terrorizzati e nessuno più osava uscire dalla città. Decisero quindi di iniziare la caccia al lupo. San Francesco, allora, ebbe compassione degli uomini e decise di andare incontro al lupo.

Quando lo incontrò la belva si avvicinò minacciosamente con la bocca spalancata, San Francesco gli si avvicinò, chiamandolo “fratello lupo” e gli ordinò in nome di Cristo di non fare male a nessuno. Come per miracolo il lupo terribile si fermò, poi si avvicinò mansueto e si accovacciò ai piedi del Santo. Allora Francesco aggiunse che era tempo di fare pace con gli uomini: così se il lupo l’avesse osservata, senza far male né all’uomo né ad altri animali, egli l’avrebbe fatto nutrire dagli uomini per tutta la vita.

Il lupo promise piegando il capo, quindi sollevò la zampa e la pose nella mano di San Francesco. Allora il santo gli ordinò di seguirlo senza timori.

Francesco e il lupo entrarono a Gubbio sotto gli occhi stupefatti dei cittadini e nella grande piazza del mercato (che ancora esiste) il santo parlò della promessa fatta dal lupo. Dinanzi a tutto il popolo, su richiesta di San Francesco, il lupo sollevò la zampa destra e la pose sopra la mano del santo. A seguito di ciò, tutti cominciarono a lodare e a benedire il Signore.

Il lupo visse qualche anno nutrito generosamente dalla gente. Morì di vecchiaia. I cittadini si rammaricarono molto, perché, vedendolo andare mansueto per la città, si ricordavano meglio della virtù e della santità di San Francesco.

Il lupo di Gubbio

titolo Il lupo di Gubbio
autore Pedro Subercaseaux Errázuriz anno 1925

LA CROCE TAU

San Francesco aveva molto a cuore questo simbolo per via della forte somiglianza con la croce, tanto che rivestì un ruolo rilevante nella sua vita così come nei suoi gesti. Nel TAU si identificava la forza salvatrice e veniva rappresentata la beatitudine della povertà, uno dei pilastri fondamentali della vita francescana. Il TAU era il simbolo rivelatore di una convinzione spirituale profonda che vede nella croce di Cristo l’unica possibilità di salvezza di ogni uomo. “Con tale sigillo, san Francesco si firmava ogniqualvolta o per necessità o per spirito di carità, inviava qualche sua lettera” (FF 980); “Con esso dava inizio alle sue azioni” (FF 1347).

La croce TAU

La croce TAU

I “FIORETTI” DI SAN FRANCESCO

Come Santo Francesco convertì tre ladroni micidiali, e fecionsi frati; e della nobilissima visione che vide l’uno di loro,il quale fu santissimo frate.

Santo Francesco andò una volta per lo distretto del Borgo a Santo Sipolcro, e passando per uno castello che si chiama Monte Casale, venne a lui uno giovane nobile e molto dilicato, e dissegli: “Padre, io vorrei molto volentieri essere de’ vostri frati”. Rispuose Santo Francesco: “Figliuolo, tu se’ giovane, dilicato e nobile: forse che tu non potresti sostenere la povertà e l’asprezza nostra”. Ed egli: “Padre, non sete voi uomini come io? dunque, come la sostenete voi, così potrò io colla grazia di Cristo”. Piacque molto a Santo Francesco quella risposta; di che benedicendolo, immantanente Io ricevette all’ordine e puosegli nome frate Agnolo. E portassi questo giovane sì graziosamente che ivi a poco tempo santo Francesco il fece guardiano nel luogo detto di Monte Casale.

In quello tempo usavano nella contrada tre nominati ladroni, i quali faceano molti mali nella contrada; i quali vennono un dì al detto luogo de’ frati e pregavano il detto frate Agnolo guardiano che desse loro mangiare. Il guardiano ríspuose loro in questo modo, riprendendogli aspramente: “Voi, ladroni e crudeli omicidi, non vi vergognate di rubare le fatiche altrui, ma eziandio, come presuntuosi e sfacciati, volete divorare le limosíne che sono mandate alli servi di Dio; che non siete pur degni che la terra vi sostenga; però che voi non avete nessuna reverenzia né a uomini né a Dio che vi creò: andate dunque per li fatti vostri e qui non apparite più”. Di che coloro turbati si partirono con grande sdegno. Ed ecco Santo Francesco tornare di fuori colla tasca del pane e con uno vasello di vino ch’egli e ‘l compagno avea accattato: e recitandogli il guardiano come egli avea cacciato coloro, Santo Francesco forte lo riprese dicendogli: “Tu ti se’ portato crudelmente; imperò che li peccatori meglio si riducono a Dio con dolcezza che con crudeli riprensioni: onde il nostro maestro Gesù Cristo, il cui evangelio noi abbiamo promesso d’osservare, dice che non è bisogno a’ sani il medico, ma agli infermi; e che non era venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a penitenzia; e però egli ispesse volte mangiava con loro. Con ciò sia cosa adunque che tu abbi fatto contra alla carità e contra al santo evangelio di Cristo, io ti comando per santa obbedienza che immantanente tu prenda questa tasca del pane ch’io ho accattato e questo vasello del vino, e va loro dietro sollecitamente per monti e per valli tanto che tu li truovi e presenta loro tutto questo pane e questo vino da mia parte; e poi t’inginocchia loro dinanzi e di’ loro umilmente tua colpa della tua crudeltà; e poi li priega da mia parte che non facciano più male. ma temano Iddio, e non offendano il prossimo: e s’egli faranno questo, io prometto loro di provvederli nelli loro bisogni e di dar loro continuamente da mangiare e da bere. E quando tu arai detto loro questo umilmente, ritórnati qua”.

Mentre che il detto guardiano andò a fare il comandamento di Santo Francesco. egli si puose in orazione e pregava Iddio che ammorbidasse i cuori di quei ladroni e convertisseli a penitenzia. Giunse a loro l’ubbidiente guardiano e presentò loro il pane e ‘l vino; e fa e dice ciò che Santo Francesco gli ha imposto. E come piacque a Dio. mangiando questi ladroni la limosina di Santo Francesco, cominciarono a dire insieme: “Guai a noi, miseri isventurati! come dure pene dello inferno ci aspettano, i quali andiamo non solamente rubando i prossimi e battendo e ferendo, ma eziandio uccidendo! e niente di meno di tanti mali e di così scellerate cose, come noi facciamo, noi non abbiamo niuno rimordimento di coscienza né timore di Dio. Ed ecco questo frate santo che è venuto a noi, e per parecchie parole ch’egli ci disse giustamente per la nostra malizia, ci ha detto umilmente sua colpa; e oltre a ciò ci ha recato il pane e lo vino e così liberale promessa del Santo Padre. Veramente questi frati sono santi di Dio, i quali meritano paradiso, e noi siamo figliuoli della eternale dannazione, li quali meritiamo le pene dello inferno e ogni dì accresciamo la nostra perdizione, e non sappiamo se de’ peccati che noi abbiamo fatti insino a qui noi potremo trovare misericordia da Dio”. Queste e simiglianti parole dicendo l’uno di loro. dissono gli altri due: “Per certo tu di’ il vero: ma, ecco, che dobbiamo noi fare?” “Andiamo” disse costui “a Santo Francesco; e s’egli ci dà speranza che noi possiamo trovare misericordia da Dio de’ nostri peccati, facciamo ciò che egli ci comanda, e possiamo liberare le nostre anime dalle pene dello inferno.” Piacque questo consiglio agli altri: e così tutti e tre accordati se ne vennono in fretta a Santo Francesco e dissongli così: «Padre, noi per molti scellerati peccati che noi abbiamo fatti non crediamo potere trovare misericordia da Dio: ma se tu hai niuna isperanza che Iddio ci riceva a misericordia, ecco, noi siamo apparecchiati a fare ciò che tu ci dirai e fare penitenzia con teco”. Allora Santo Francesco, ricevendogli caritativamente e con benignità, sì gli confortò con molti esempli; e rendendoli certi della misericordia di Dio. promise loro di certo d’accattarla loro da Dio, mostrando loro come la misericordia di Dio è infinita: “e se noi avessimo infiniti peccati, ancora la divina misericordia è maggiore, ché, secondo il vangelio e lo apostolo Santo Paulo, Cristo benedetto venne in questo mondo per ricomperare i peccatori”. Per le quali parole e simiglianti ammaestramenti li detti tre ladroni renunziarono al demonio e alle sue operazioni, e Santo Francesco li ricevette all’ordine, e cominciarono a fare grande penitenzia; e due di loro poco vissono dopo la loro conversione e andaronsi a paradiso.

Ma il terzo, sopravvivendo e ripensando i suoi peccati, si diede a fare tale penitenzia che per quindici anni continui, eccetto le quaresime comuni le quali egli facea con gli altri frati, d’altro tempo sempre tre dì della settimana digiunava in pane e in acqua. e andando sempre iscalzo e con una sola tonica indosso, mai non dormia dopo mattutino. Infra questo tempo Santo Francesco passò di questa misera vita. Avendo dunque costui per molti anni continuata questa penitenzia, eccoti che una notte, dopo mattutino, gli venne tanta tentazione di sonno che per niuno modo poteva resistere al sonno e vegghiare come solea. Finalmente, non potendo egli resistere al sonno né orare, andossene in sul letto per dormire: e subito come egli ebbe posto giù il capo, e’ fu ratto e menato in ispirito in su uno monte altissimo al quale era una ripa profondissima, e di qua e di là sassi spezzati e ischeggiosi e iscogli disuguali che uscivano fuori de’ sassi: dì che infra questa ripa era pauroso aspetto a riguardare. E l’agnolo che menava questo frate sì lo sospinse e gittollo giù per quella ripa: il quale trabalzando e percotendosi di scoglio in iscoglio e di sasso in sasso, alla perfine giunse al fondo di questa ripa tutto smembrato e minuzzato, secondo che a lui pareva: e giacendosi così male acconcio in terra, disse colui che ‘l menava: “Leva su, ché ti conviene fare ancora maggiore viaggio”. Risponde il frate: “Tu mi pari molto indiscreto e crudele uomo, che mi vedi per morire della caduta che m’ha così spezzato, e dimmi ‘leva su'”. E l’agnolo s’accosta a lui, e toccandolo gli salda perfettamente tutti li membri, e sanalo. E poi gli mostra una grande pianura piena di pietre aguzzate e taglienti e di spine e di triboli, e dicegli che per tutto questo piano gli conviene passare a piedi ignudi insino che giunga al fine; nel quale e’ vedea una fornace ardente nella quale gli convenia entrare. Ed aviendo il frate passata tutta quella pianura con grande angoscia e pena, l’agnolo gli dice: “Entra in questa fornace, però che così ti conviene fare”. Risponde costui: “Oimè, quanto mi se’ crudele guidatore, che mi vedi esser presso che morto per questa angosciosa pianura, e ora per riposo mi di’ che io entri in questa fornace ardente!” E ragguardando costui, e’ vide intorno alla fornace molti demoni colle forche di ferro in mano, colle quali costui, perché indugiava d’entrare, sì lo sospinsono dentro subitamente. Entrato che egli fu nella fornace, ragguarda e videvi uno ch’era istato suo compagno, il quale ardeva tutto quanto. E costui il domanda: “O compare isventurato, come venisti tu qua?” Ed egli risponde: “Va un poco più innanzi e troverai la moglie mia, tua comare, la quale ti dirà la cagione della nostra dannazione”. Andando il frate più oltre, eccoti apparire la detta comare tutta affocata, rinchiusa in una misura dì grano tutta di fuoco; ed egli la domanda: “O comare isventurata e misera, perché venisti tu in così crudele tormento?” Ed ella rispuose: “Imperò che al tempo della grande fame. la quale Santo Francesco predisse dinanzi, il marito mio ed io falsavamo il grano e la biada che noi vendevamo nella misura. e però io ardo istretta in questa misura. E dette queste parole, l’agnolo che menava questo frate silo sospinse fuori della fornace e poi gli disse: Apparecchiati a fare uno orribile viaggio. il quale tu hai a passare. E costui rammaricandosi diceva: “O durissimo conducitore, il quale non m’hai nessuna compassione; tu vedi ch’io sono quasi tutto arso in questa fornace e anche mi vuoi menare in viaggio pericoloso e orribile”. Allora l’agnolo il toccò e fecelo sano e forte: e poi il menò a uno ponte il quale non si potea passare senza grande pericolo; imperò ch’egli era molto sottile e stretto e molto isdrucciolente e senza sponde d’allato, e di sotto passava un fiume terribile, pieno di serpenti e di dragoni e scarpioni, e Ottava uno grandissimo puzzo. E l’agnolo gli disse: “Passa questo ponte, ché al tutto te lo conviene passare”. Risponde costui: “E come lo potrò io passare, ch’io non caggia in quello pericoloso fiume?” Dice l’agnolo: “Vieni dopo me e poni il tuo pie’ dove tu vedrai ch’io porrò il mio, e così passerai bene”. Passa questo frate dietro all’agnolo, come gli aveva insegnato, tanto che giunse a mezzo il ponte; e essendo così sul mezzo, l’agnolo si volò via e, partendosi da lui, se ne andò in su uno monte altissimo di là assai dal ponte. E costui considera bene il luogo dove era volato l’agnolo; ma rimanendo egli sanza guidatore e riguardando giù, vedea quegli animali tanto terribili stare con li capi fuori dall’acqua e colle bocche aperte. apparecchiati a divorarlo s’egli cadesse: ed era in tanto tremore che per niuno modo non sapea che si fare né che si dire; però che non potea tornare addietro né andare innanzi. Onde veggendosi in tanta tribolazione e che non avea altro rifugio che solo Iddio, sì s’inchinò e abbracciò il ponte con tutto il cuore e con lagrime si raccomandava a Dio che per la sua santissima misericordia il dovesse soccorrere. E fatta l’orazione, gli parve cominciare a mettere ale: di che egli con grande allegrezza aspettava ch’elle crescessono per potere volare di là dal ponte, dov’era volato l’agnolo. Ma dopo alcuno tempo, per la grande voglia ch’egli avea di passare questo ponte, si mise a volare; e perché l’ale non gli erano tanto cresciute, egli cadde in sul ponte e le penne gli caddono : di che costui da capo abbraccia il ponte. come in prima, e raccomandasi a Dio. E fatta l’orazione, anche gli parve mettere aie; ma come prima non aspettò ch’elle crescessono perfettamente: onde, mettendosi a volare anzi tempo, ricadde da capo in sul ponte e le penne gli caddono. Per la qual cosa veggendo che per la fretta ch’egli avea di volare anzi tempo cadea, così incominciò a dire fra se medesimo: “Per certo, se io metto aie la terza volta, io aspetterò tanto ch’elle saranno sì grandi che io potrò volare senza ricadere”.

E stando in questo pensiere. egL s: vide la terza volta mettere le ale: aspetta grande tempo, tanto ch.elie erano bene grandi, e parevagli. per lo primo e secondo e terzo mettere d’ale, avere aspettato bene cento cinquanta anni o più. Alla perfine si lieva questa terza volta con tutto il suo sforzo a vòlito, e volò in alto insino al luogo ov’era volato l’agnolo; e. bussando alla porta del palagio nel quale egli era, il portinaio il domandò: “Chi se’ tu che se’ venuto qua?” Risponde quello: “Io sono frate minore. Dice il portinaio: “Aspettami, ch’io ci voglio menare Santo Francesco a vedere se ti cognosce”. Andando colui per Santo Francesco, questi comincia a sguardare le mura maravigliose di questo palagio; ed eccoti queste mura pareano tralucenti di tanta chiarità • vedea chiaramente i cori de’ santi e ciò che dentro vi si faceva. E stando costui stupefatto in questo ragguardare, ecco venire Santo Francesco e frate Bernardo e frate Egidio, e dopo Santo Francesco tanta moltitudine di santi e di sante, che aveano seguita la vita sua, che quasi pareano innumerabili.Giugnendo Santo Francesco, disse al portinaia: ” Lascialo entrare, imperò ch’egli è de’ miei frati”. Sì tosto com’e’ fu entrato, e’ sentì tanta consolazione e tanta dolcezza, che egli dimenticò tutte le tribolazioni che egli avea avute, come se mai non fussono state. E allora Santo Francesco menandolo per dentro sì gli mostrò molte cose maravigliose e poi gli disse: “Figliuolo, e’ ti conviene ritornare al mondo staravi sette dì ne’ quali tu t’apparecchia diligentemente con ogni divozione; imperò che dopo i sette dì io verrò per te e allora tu ne verrai meco a questo luogo de’ beati”.

Ed era ammantato Santo Francesco d’uno mantello maraviglioso adornato di stelle bellissime, e le sue cinque stimmate erano come cinque stelle bellissime e di tanto splendore che tutto il palagio alluminavano con li loro raggi. E frate Bernardo avea in capo una corona di stelle bellissime, e frate Egidio era adornato di maraviglioso lume; e molti altri santi frati tra loro cognobbe, li quali nel mondo non avea mai veduti. Licenziato dunque da Santo Francesco si ritornò, benché mal volentieri, al mondo. Destandosi e ritornando in sé e risentendosi, i frati suonavano a prima: sicché non era stato in quella visione se non da mattutino a prima, benché a lui fosse paruto istare molti anni. E recitando al suo guardiano tutta questa visione per ordine, infra i sette dì si incominciò a febbricare, e l’ottavo dì venne per lui Santo Francesco, secondo la ‘mpromessa, con grandissima moltitudine di gloriosi santi, e menonne l’anima sua al regno de’ beati di vita eterna. A laude di Cristo. Amen.

CANTICO DELLE CREATURE

San Francesco Giotto

autore: Giotto anno 1292-1296 titolo La predica agli uccelli (Storie di san Francesco)

Altissimu; onnipotente bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’onore et orme benediczione.
Ad te solo, Altissimo, se confano et nullu omu ène dignu te mentovare.

Laudato si, mi Signore, curo tucte le tue creature,
spezialmente messor lo frate sole,
lo quale jorna, et allumini per lui;
et ellu è bellu e radiante rum grande splendore;
de te, Altissimo, porta significazione.

Laudato si, mi Signore, per sora luna e le stelle;
in celo l’hai formate clarite et preziose et belle.

Laudato si, mi Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et orme tempo,
per le quale a le tue creature dai sustentamento.

Laudato si, mi Signore, per sor’acqua,
la quale è multo utile, et umele, et preziosa et casta.

Laudato si, mi Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte,
et elio è bellu, et jucundo. et robustoso et forte.

Laudato si, mi Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta e governa,
e produce diversi fructi, con coloriti fiori et erba.

Laudato si, mi Signore, per quilli che perdonano per lo tuo amore
e sostengo infirmitate et tribulazione.
Beati quilli che sosterranno in pace,
ca de te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si, mi Signore, per sona nostra morte corporale,
da la quale nullu orno vivente pò scappare.
Guai a quilli che morrano ne le peccata mortali.
Beati quilli che se trovarà ne le tue sanctissime voluntati;
ca la morte secunda no ‘1 farrà male.

Laudate et benedicete mi Signore, e rengraziate.
e serviteli cum grande umilitate.

Versione italiana

«Altissimo, Onnipotente Buon Signore, tue sono le lodi, la gloria, l’onore e ogni benedizione.

A te solo, o Altissimo, si addicono e nessun uomo è degno di menzionarti.

Lodato sii, mio Signore, insieme a tutte le creature, specialmente per il signor fratello sole, il quale è la luce del giorno, e tu tramite lui ci dai la luce. E lui è bello e raggiante con grande splendore: te, o Altissimo, simboleggia.

Lodato sii o mio Signore, per sorella luna e le stelle: in cielo le hai create, chiare preziose e belle.

Lodato sii, mio Signore, per fratello vento, e per l’aria e per il cielo; per quello nuvoloso e per quello sereno, per ogni stagione tramite la quale alle creature dai vita.

Lodato sii mio Signore, per sorella acqua, la quale è molto utile e umile, preziosa e pura.

Lodato sii mio Signore, per fratello fuoco, attraverso il quale illumini la notte. Egli è bello, giocondo, robusto e forte.

Lodato sii mio Signore, per nostra sorella madre terra, la quale ci dà nutrimento e ci mantiene: produce diversi frutti, con fiori variopinti ed erba.

Lodato sii mio Signore, per quelli che perdonano in nome del tuo amore, e sopportano malattie e sofferenze.

Beati quelli che le sopporteranno serenamente, perché dall’Altissimo saranno premiati.

Lodato sii mio Signore per la nostra sorella morte corporale, dalla quale nessun essere umano può scappare, guai a quelli che moriranno mentre sono in peccato mortale.

Beati quelli che troveranno la morte mentre stanno rispettando le tue volontà. In questo caso la morte spirituale non procurerà loro alcun male.

Lodate e benedite il mio Signore, ringraziatelo e servitelo con grande umiltà.»

TESTAMENTO DI SAN FRANCESCO (1226)

Tomba di San Francesco

Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza cosi: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo.

E il Signore mi dette tale fede nelle chiese, che io così semplicemente pregavo e dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo.

Poi il Signore mi dette e mi da una cosi grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.

E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come i miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue che essi ricevono ad essi soli amministrano agli altri.

E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi.

E dovunque troverò manoscritti con i nomi santissimi e le parole di lui in luoghi indecenti, voglio raccoglierli, e prego che siano raccolti e collocati in luogo decoroso.

E dobbiamo onorare e venerare tutti i teologi e coloro che amministrano le santissime parole divine, cosi come coloro che ci amministrano lo spirito e la vita.

E dopo che il Signore mi diede dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelo che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò.

E quelli che venivano per abbracciare questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. E non volevano avere di più.

Noi chierici dicevano l’ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i Pater noster; e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese. Ed eravamo illetterati e sottomessi a tutti.

Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onesta. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio.

Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l’elemosina di porta in porta.

Il Signore mi rivelo che dicessimo questo saluto:”Il Signore ti dia la pace! “.

Si guardino bene i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e quanto altro viene costruito per loro, se non fossero come si addice alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre ospitandovi come forestieri e pellegrini.

Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati che, dovunque si trovino, non osino chiedere lettera alcuna (di privilegio) nella curia romana, ne personalmente ne per interposta persona, ne per una chiesa ne per altro luogo, ne per motivo della predicazione, ne per la persecuzione

dei loro corpi; ma, dovunque non saranno accolti, fuggano in altra terra a fare penitenza con la benedizione di Dio.

E fermamente voglio obbedire al ministro generale di questa fraternità e a quel guardiano che gli piacerà di assegnarmi. E cosi voglio essere prigioniero nelle sue mani, che io non possa andare o fare oltre l’obbedienza e la sua volontà, perché egli e mio signore.

E sebbene sia semplice e infermo, tuttavia voglio sempre avere un chierico, che mi reciti l’ufficio, così come e prescritto nella Regola.

E non dicano i frati: Questa e un’altra Regola, perché questa e un ricordo, un’ammonizione, un’esortazione e il mio testamento, che io, frate Francesco piccolino, faccio a voi, miei fratelli benedetti, perché osserviamo più cattolicamente la Regola che abbiamo promesso al Signore.

E il ministro generale e tutti gli altri ministri custodi siano tenuti, per obbedienza, a non aggiungere e a non togliere niente da queste parole.

E sempre tengano con se questo scritto assieme alla Regola. E in tutti i capitoli che fanno, quando leggono la Regola, leggano anche queste parole.

E a tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbedienza, che non inseriscano spiegazioni nella Regola e in queste parole dicendo: “Cosi si devono intendere” ma, come il Signore mi ha dato di dire e di scrivere con semplicità e purezza la Regola e queste parole, così cercate di comprenderle con semplicità e senza commento e di osservarle con sante opere sino alla fine.

E chiunque osserverà queste cose, sia ricolmo in cielo della benedizione dell’altissimo Padre, e in terra sia ricolmato della benedizione del suo Figlio diletto col santissimo Spirito Paraclito e con tutte le potenze dei cieli e con tutti i Santi. Ed io frate Francesco piccolino, vostro servo, per quel poco che io posso, confermo a voi dentro e fuori questa santissima benedizione. (Amen).

PREGHIERA SEMPLICE

San Francesco di Cimabue

autore: Cimabue anno 1285-1288 titolo Particolare nella Maestà di Assisi
Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace:

dove è odio, fa ch’io porti amore,
dove è offesa, ch’io porti il perdono,
dove è discordia, ch’io porti la fede,
dove è l’errore, ch’io porti la Verità,
dove è la disperazione, ch’io porti la speranza.

Dove è tristezza, ch’io porti la gioia,
dove sono le tenebre, ch’io porti la luce.

Oh! Maestro, fa che io non cerchi tanto:
Ad essere compreso, quanto a comprendere.
Ad essere amato, quanto ad amare
Poichè:

Sì è: Dando, che si riceve:
Perdonando che si è perdonati;
Morendo che si risuscita a Vita Eterna.

Amen.

BENEDIZIONE A FRATE LEONE

Benedizione a Frate Leone
Il Signore ti benedica e ti custodisca.
Mostri a te il suo volto e abbia misericordia di te.
Volga a te il suo sguardo e ti dia pace.
Il Signore ti dia la sua grande benedizione.

Benedicat tibi Dominus et custodiat te,
ostendat faciem suam tibi et misereatur
tui convertat vultum suum ad te
et det tibi pacem
Dominus benedicat frater Leo, te
Benedicat, benedicat,
benedicat tibi Dominus
et custodiat te Frater Leo, te

Benedizione di San Francesco

FRATELLO SOLE E SORELLA LUNA

Dolce è sentire
Come nel mio cuore
Ora umilmente
Sta nascendo amore
Dolce è capire
Che non son più solo
Ma che son parte di una immensa vita
Che generosa
Risplende intorno a me
Dono di Lui
Del Suo immenso amore
Ci ha dato il Cielo
E le chiare Stelle
Fratello Sole
E Sorella Luna
La Madre Terra
Con Frutti, Prati e Fiori
Il Fuoco, il Vento
L’Aria e l’Acqua pura
Fonte di Vita
Per le Sue Creature
Dono di Lui
Del suo immenso amore
Dono di Lui
Del suo immenso amore

ICONOGRAFIA

La figura di San Francesco d’Assisi nell’arte ha origine appena subito dopo la sua morte, avvenuta nel 1226. Uno dei suoi primi ritratti lo troviamo nel Sacro Speco di Subiaco, il Monastero di San Benedetto, nei pressi di Roma. Nell’affresco è rappresentato senza né aureola né stimmate, semplicemente abbigliato con una tunica cinta da una corda con un alto cappuccio. L’iscrizione riporta semplicemente il nome, Frater Franciscus, e nella mano sinistra reca un cartiglio con le parole Pax huic domui, Pace a questa casa.

San Francesco

titolo San Francesco
autore Anonimo “Maestro di Frate Francesco” anno XIII sec

Inoltrandoci nel XIII secolo invece viene accentuato l’elemento ascetico. Possiamo notarlo nei ritratti presenti nel Museo Cristiano Vaticano o in quello Medievale e Moderno di Arezzo, dove il Santo è raffigurato come un uomo magro, dal viso emaciato, grandi occhi scuri, lungo naso dritto e rughe energicamente marcate sulla fronte.

È con Giotto che si ha un cambiamento; nella basilica superiore di Assisi le immagini di San Francesco mostrano un’attenzione maggiore all’espressione del viso, che esterna l’emozione intima.

La sua fisionomia comunque è mostrata perfettamente nel ritratto di Cimabue posto a lato della Maestà di Assisi, nella basilica inferiore, dove appare un po’ distante, scalzo, con il saio, dall’ aspetto giovanile. La lunga barba e la classica chierica che ritroveremo in seguito, egli mostra con evidenza i segni delle stimmate sia sulle mani che sui piedi, e, altro particolare significativo, anche sul costato attraverso uno squarcio all’altezza del petto.

Maestà di Assisi

titolo Maestà di Assisi
autore Cimabue anno 1285-1288 circa

Tra le innumerevoli opere che rappresentano San Francesco, il tratto distintivo sono proprio le stigmate e la ferita al costato. Poi ancora il saio, la chierica e talvolta lo vediamo in compagnia di alcuni animali, come un lupo o degli uccelli, in riferimento ai due celeberrimi episodi che lo hanno visto protagonista, il lupo di Gubbio e la predica agli uccelli. In alcune opere le stigmate non sono visibili ma porta nelle mani una croce.

Anche gli affreschi di Assisi, raffiguranti la sua vita, sono stati il modello per i cicli agiografici successivi. Oltre al saio bruno o grigio dei francescani con alla vita un cordone a tre nodi, simbolo dei voti di povertà, castità, obbedienza, San Francesco è raffigurato come un uomo esile, a volte con la barba, segno ulteriore di penitenza, a volte senza, e con gli occhi sofferenti.

Altre peculiarità comuni sono il crocifisso, il giglio simbolo di purezza e, dalla Controriforma, il teschio, che rappresenta il tema della morte, ovvero il passaggio dalla vita terrena alla vita divina – eterna, come nel suggestivo San Francesco in meditazione del Caravaggio (1605). Molto comuni sono anche le sue rappresentazioni mentre, in estasi, riceve le stimmate o prega.

San Francesco in meditazione

titolo San Francesco in meditazione
autore Caravaggio anno 1605

Proprio la ricezione delle stimmate, episodio tra i più significativi dal punto di vista spirituale, è uno dei temi più rappresentati. Opera indicativa in tal senso è quella attribuita al Maestro della Croce 434, del 1240, dove vediamo il Santo Francesco inginocchiato sulla terra spoglia. Nell’angolo in alto a destra appare un serafino dal quale provengono i raggi di luce che colpiscono Francesco lasciandogli impresse le stimmate.

Stimmate di san Francesco

titolo Stimmate di san Francesco
autore Maestro della Croce 434 anno 1250 circa

Bellissima la tela di Bartolomé Esteban Murillo dove la composizione simboleggia il momento culminante della vita di Francesco d’Assisi, cioè quando decise di rinunciare a tutti i suoi beni materiali per abbracciare la vita religiosa. Accanto alla croce, due angeli reggono un libro aperto che reca in latino il passo del Vangelo secondo Luca “Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”. Anche il globo sul quale Francesco poggia il piede, quasi a spingerlo lontano, simboleggia il mondo terreno che egli rifiuta e abbandona per diventare discepolo di Gesù.

San Francesco abbraccia Cristo crocifisso

titolo San Francesco abbraccia Cristo crocifisso
autore Bartolomé Esteban Murillo anno 1668-1669
Altri santi e venerazioni di oggi:

San Quintino
Martire, venerato a Meaux

– Madonna del Pilastrello
Appellativo

Altre venerazioni di San Francesco:

15 gennaio:-San Francesco Fernandez de Capillas
Domenicano, martire

22 gennaio:-Santi Francesco Gil de Federich e Matteo Alfonso de Leciniana
Sacerdoti domenicani, martiri

24 gennaio:-San Francesco di Sales
Vescovo e dottore della Chiesa

31 gennaio:-San Francesco Saverio Maria Bianchi
Barnabita

18 febbraio:-San Francesco Regis Clet
Martire in Cina

02 aprile:-San Francesco da Paola
Eremita e fondatore

02 aprile:-San Francesco Coll y Guitart
Sacerdote domenicano

11 maggio:-San Francesco De Geronimo
Sacerdote

04 giugno:-San Francesco Caracciolo
Sacerdote

25 giugno:-Santi Domenico Henares e Francesco Do Minh Chieu
Vescovo e laico, martiri

I Santi nati oggi

I Santi nati oggi 4 ottobre

Santa Maria Alfonsina Danil Ghattas

I Santi tornati alla Casa del Padre oggi

I Santi tornatia alla Casa del Padre oggi 4 ottobre

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