Mi prendi la mia matrioska
Va in scena al Teatro Bellini di Napoli, dal 5 al 10 novembre, lo spettacolo “Il Grande Vuoto” di Fabiana Iacozzilli.
Una piacevole sorpresa per il pubblico che, entrando in sala, ha visto il palcoscenico occupato da un’improbabile utilitaria, grazie alla quale gli attori in scena lanciano verso la platea frammenti di vita quotidiana che chissà in quanti – in sala – hanno vissuto in prima persona.
Due coniugi anziani, ormai avviati verso l’ultima parte della loro vita insieme, raccontano – con cenni leggeri e garbati – le manie, le fisime, i deficit fisici, le ripetizioni maniacali proprie di chi ha varcato l’età adulta per entrare nel limbo silenzioso e impalpabile dell’età senile.
Uno spaccato di vita penetrante e doloroso per chi ha visto genitori o anziani percorrere lo stesso sentiero e ha assistito al progressivo degenerare della mente, della memoria, dell’autosufficienza, della dipendenza di persone care.
La protagonista è un ex attrice che non smette di ricordare il suo cavallo di battaglia (punto più elevato di una carriera mai definita fino in fondo) suscitando all’inizio l’ilarità dei figli: un monologo tratto da Re Lear, in occasione della partecipazione della loro compagnia ad un festival teatrale a San Pietroburgo.
La morbidezza e l’attenzione della regista (attrice protagonista in scena) accompagna per mano lo spettatore lungo un sentiero tortuoso che attraversa il dolore, per chi ne è protagonista e per coloro che ne seguono l’evoluzione anzi, l’involuzione.
L’ex attrice si contorna di ricordi appartenenti all’ex marito, alle sue tournée, ai suoi spettacoli, alla sua vita; i suoi figli non si arrendono all’evidenza degli effetti della malattia degenerativa della mamma e cercano, alla loro maniera, di addolcirne l’amarezza.
Cambi di scena a sipario aperto consentono di apprezzarne l’intelligente integrazione della scenografia con il testo.
Il progressivo riavvicinarsi dei figli alla madre; l’utilizzo di uno schermo a fare da filo rosso tra i vari momenti in cui – nel silenzio – la protagonista recita i gesti e gli atteggiamenti di una donna anziana la cui memoria è minata dalla malattia; l’accorto utilizzo di inquadrature il cui scopo ci appare immediatamente finalizzato a dare rispetto e discrezione alla privacy dovuta anche a coloro che hanno perso lucidità e presenza.
Tutto parla di dolore. Tutto racconta la triste sofferenza di una casa che si libera progressivamente da persone e si riempie di oggetti, anche inutili. Tutto sembra proiettare lo spettacolo verso un epilogo che vorrebbe vedere andar via anche la protagonista … eppure… la drammaturgia riserva la gradita sorpresa di una resurrezione della ex attrice che, indossati pochi abiti di scena (con l’aiuto dei due figli) vive la resurrezione del suo personaggio, proprio quello recitato nella famosa tournée a San Pietroburgo: il monologo di Re Lear.
Il teatro entra in gioco; e con minimi attrezzi, l’aiuto di una sola luce, l’effetto di un ventilatore basso, la protagonista ridà vita al suo cavallo di battaglia, in un sontuoso crescendo che offre al pubblico – in luogo di una fine – l’idea di un inizio che in realtà non ha mai avuto fine: perché anche chi perde la propria identità lascia dentro di sé il segno indelebile di quello che è stato.
E quindi il segno indelebile di quello che è.